SpongeBob – Fuori dall’acqua, la recensione
Tra i prodotti di punta da almeno tre lustri della californiana Nickeloden, l’allegra spugna di mare SpongeBob SquarePants torna sul grande schermo con un lungometraggio a tecnica mista (animazione + live action) dal titolo SpongeBob – Fuori dall’acqua. La spensierata spugna che lavora come cuoco nel fast food di Mr. Krabs era già stato protagonista di un film d’animazione per il cinema nel 2004, portando sul grande schermo la demenzialità e l’allegria che hanno sempre contraddistinto la serie televisiva; ma con questo nuovo film diretto da Paul Tibbitt e scritto da Jonathan Aibel e Glenn Berger, siamo decisamente oltre. Oltre l’immaginazione umana. Oltre la fantasia concepibile. Oltre ogni cosa.
Chi conosce SpongeBob e la serie tv sa cosa deve aspettarsi e sa che, negli anni, la spugna di mare dal contagioso buon umore è diventato il simbolo di molte cose, da icona gay a metafora del consumo di stupefacenti. Gli autori non hanno mai negato nulla, anzi, in più occasioni sembrano aver cavalcato l’onda ambigua del loro personaggio accentuandola sempre di più. Non solo un prodotto per bambini, dunque, ma anche un cartoon leggibile sotto più punti di vista che ha trovato migliaia di appassionati tra adolescenti e adulti in tutto il mondo.
In SpongeBob – Fuori dall’acqua si ritrova tutta la verve della serie tv, a tratti talmente esagitata ed esagerata da trovarsi di fronte a un vero delirio fatto film. In più, stavolta, la classica animazione 2D che ha sempre caratterizzato la serie di SpongeBob va a mescolarsi con una serie di altri stili che ne fanno un prodotto misto a tutto tondo. Dal live action alla stop motion, si finisce inevitabilmente all’animazione in computer grafica e l’utilizzo della stereoscopia 3D in un film così grosso, immaginifico, pieno di idee, personaggi ed elementi che non si sa da che parte guardare. Un film che riempie lo schermo e trasborda, che invade gli occhi e la mente, così tanti sono gli stimoli che ci si ritrova come SpongeBob e Patrick quando mangiano lo zucchero filato in una della scene più divertenti ed esplicative del film.
La storia è volutamente un pastrocchio, ricca di citazioni e capace di volare da un argomento a un altro con una tale nonchalance da destare tanta ammirazione quanta irresponsabilità. A Bikini Bottom scoppia il caos quando la formula segreta che consente di preparare l’amatissimo panino Krabby Patty svanisce nel nulla. Accusati della scomparsa sono l’impiegato del fast food SpongeBob e il proprietario del locale avversario Plankton. Così, mentre Bikini Bottom piomba rapidamente in una situazione post apocalittica, i due avversari devono unire le forze per ritrovare la formula segreta e nascondersi dagli abitanti del paese che vogliono la loro testa.
Tra viaggi nel tempo, un delfino parlante che si professa Guardiano dell’Universo, predoni del deserto, pirati, supereroi e l’incursione finale dei nostri protagonisti nel mondo in superficie – come da titolo – il film si mostra come uno zibaldone di suggestioni e fantasia. Alcune gag sono davvero irresistibili, il mix di stili visivi tiene costantemente desta l’attenzione, rappresentando anche qualche cosa di originale, e i personaggi, anche se non si conosce bene il cartoon d’origine, sono tutti ottimamente caratterizzati.
Quello che convince meno in SpongeBob – Fuori dall’acqua è, però, proprio quel “fuori dall’acqua” che rappresenta il blocco finale del film. Per circa un’ora e dieci seguiamo le avventure di SpongeBob a Bikini Bottom e contemporaneamente le gesta del pirata Barba Burger (interpretato da Antonio Banderas), impegnato a leggere la storia di SpongeBob a dei gabbiani parlanti e diretto verso una non ben precisata meta. Giunti oltre quei 70 minuti, le due storie si incontrano e la finzione (SpongeBob) si innesta nella realtà (Barba Burger) in un colpo di coda narrativo molto riuscito. Solo che, ahinoi, a parte qualche gag tipicamente spongebobiana (come la suddetta dello zucchero filato), a questo punto il film sembra perdere quella fantasia che lo contraddistingueva e, con la trasformazione dei personaggi in super eroi, diventa un rumoroso film d’azione molto più orientato verso quell’infantilità che fino a quel momento aveva magnificamente gestito.
C’è da dire che nell’ultima parte del film si tende anche ad ostentare un po’ troppo quella morale da favoletta pedagogica che comunque SpongeBob – Fuori dall’acqua aveva innescato fin dall’inizio, ricordandoci una volta di troppo l’importanza del “gioco di squadra”. Ma parliamo pur sempre di un film indirizzato anche a un pubblico di bambini, quindi ci può stare senza crear veri danni.
In un turbine di fantasia che si trasforma ben presto in un vero e proprio delirio narrativo e visivo, SpongeBob – Fuori dall’acqua riesce a portare su grande schermo tutto il divertimento e la leggera irriverenza della serie tv riuscendo, però, a fare un lavoro stratificato e complesso che a tratti è davvero irresistibile. Peccato che non tutti i tasselli sono di qualità e, di tanto in tanto, si cede il passo all’infantilismo nudo e crudo.
Roberto Giacomelli
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