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Una donna chiamata Maixabel, la recensione

Per apprezzare Una donna chiamata Maixabel è necessario conoscerne il background storico, il che non è scontato per un pubblico italiano, quindi inizierò con una piccola spiegazione che può essere utile a chi si avvicina alla pellicola.

L’ETA è stata un’organizzazione armata che per cinquant’anni ha rivendicato in Spagna l’indipendenza politica del territorio basco, impiegando metodi terroristici e mietendo più di 800 vittime, la cui minaccia è cessata completamente solo nel 2018.  Per certi versi, anche se la posta in gioco era diversa, a un italiano può ricordare ciò che accadde nel nostro territorio negli Anni di Piombo ed è la sensazione di déjà vu che in qualche modo restituisce anche la visione del film. Del resto, il terrorismo in sé può avere mille volti ma l’anima è sempre la stessa: colpire un obiettivo A attraverso la soppressione simbolica di obiettivi B, mirati o casuali, senza curarsi che questi obiettivi B siano genitori, figli, mariti, mogli di qualcuno. Persone. Il meccanismo alla base del terrorismo è quello della setta ideologica, che convince i propri seguaci nel profondo di quanto le vite umane siano tributi necessari al raggiungimento dello scopo finale.

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