Una donna chiamata Maixabel, la recensione

Per apprezzare Una donna chiamata Maixabel è necessario conoscerne il background storico, il che non è scontato per un pubblico italiano, quindi inizierò con una piccola spiegazione che può essere utile a chi si avvicina alla pellicola.

L’ETA è stata un’organizzazione armata che per cinquant’anni ha rivendicato in Spagna l’indipendenza politica del territorio basco, impiegando metodi terroristici e mietendo più di 800 vittime, la cui minaccia è cessata completamente solo nel 2018.  Per certi versi, anche se la posta in gioco era diversa, a un italiano può ricordare ciò che accadde nel nostro territorio negli Anni di Piombo ed è la sensazione di déjà vu che in qualche modo restituisce anche la visione del film. Del resto, il terrorismo in sé può avere mille volti ma l’anima è sempre la stessa: colpire un obiettivo A attraverso la soppressione simbolica di obiettivi B, mirati o casuali, senza curarsi che questi obiettivi B siano genitori, figli, mariti, mogli di qualcuno. Persone. Il meccanismo alla base del terrorismo è quello della setta ideologica, che convince i propri seguaci nel profondo di quanto le vite umane siano tributi necessari al raggiungimento dello scopo finale.

Una donna chiamata Maixabel diretto da Icíar Bollaín racconta, in chiave romanzata, la vera storia di Maixabel Lasa, il cui marito Juan María Jáuregui venne brutalmente assassinato dall’ETA a Tolosa nel 2000 in quanto governatore di Guipúzkoa (la più piccola provincia autonoma di Spagna, situata proprio in territorio basco).

Il film si apre con l’attentato e, da lì in poi, segue due narrazioni parallele: da una parte l’elaborazione del lutto di Maixabel (Blanca Portillo), che diventa in seguito uno dei volti politici della lotta al terrorismo finendo per rischiare lei stessa la sua incolumità. Dall’altra parte, la vicenda di due dei tre assassini coinvolti, arrestati e condannati a quarant’anni di carcere: in un primo momento la loro rivendicazione orgogliosa dell’attentato, poi i dubbi, la disillusione, la delusione e, infine, la presa di coscienza del peso delle loro azioni.

Maixabel è stata la prima tra le vittime del terrorismo dell’ETA ad acconsentire alla proposta di incontrarne i diretti responsabili, in seno a un percorso pedagogico carcerario atto a riabilitarli. Un atto di profonda generosità dalla parte della donna che rende il film una celebrazione della non-violenza come principio umano inderogabile, contro cui non esistono giustificazioni o contrattazioni.

Molto interessante è il modo in cui viene raccontato il graduale crollo delle certezze dei due responsabili, che transita per due strade diverse, l’una funzionale all’altra. È interessante perché suggerisce anche le trappole ideologiche che conducono persone assolutamente normali, potenzialmente anche empatiche, a immolarsi per un’idea diventando mostri.

Il film colpisce lavorando per sottrazione, non mostrando quasi mai reazioni umane violente o estreme pur in un contesto in cui di violenze estreme si parla. L’unico dolore sordo che viene effettivamente messo in scena lungo tutto il corso del film è quello della figlia di Maixabel, terrorizzata che possa capitare alla madre lo stesso destino già toccato a suo padre. Un personaggio utile a far capire al pubblico, così come lo capiscono gli assassini nel corso degli anni, che ogni azione drastica trascina con sé implicazioni collaterali.

Il percorso di elaborazione che i personaggi compiono lungo tutto il corso della narrazione culmina nell’incontro di Maixabel con Ibon Etxezarreta (Luis Tosar), fondamentale per entrambi non solo per fare pace con quanto accaduto, ma per costruire un futuro migliore per tutti. Questo atto di dialogo, di incontro, di comprensione diventa infatti in qualche modo un esempio morale anche per coloro che circondano Maixabel ed è proprio su queste fondamenta che può iniziare un circolo virtuoso: non solo punire i colpevoli, ma comprendere le radici della violenza per sradicarla. Non è un caso, forse, che l’ETA dopo tante vittime abbia terminato la sua parabola praticamente smantellata dall’interno.

La pellicola, uscita in Spagna nell’autunno 2021, ha vinto tre premi Goya (Miglior Attrice Protagonista, Miglior Attore non Protagonista, Miglior Attrice rivelazione) ed è stata originariamente presentata in concorso alla 69ma edizione del Festival di San Sebastian. In Italia esce nelle sale il 13 luglio di quest’anno, distribuito da Movies Inspired.

Francesca Bulian

PRO CONTRO
  • Le interpretazioni dei tre attori protagonisti, su cui ovviamente svetta Blanca Portillo.
  • Il modo delicato e tenue in cui viene affrontata la storia.
  • La complessità dei personaggi principali.
  • Il contesto storico e politico di cui si tratta potrebbe risultare più oscuro e distante a un pubblico non spagnolo e quindi non suscitare lo stesso impatto emotivo.
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