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Medusa Deluxe, la recensione

Il salone del parrucchiere (o del barbiere, in versione “only for men”) è quel posto dove ogni persona è messa a nudo, resettata e riassemblata per uscirne cambiata nell’aspetto ma non nell’essenza. Fondamentalmente la visita dal parrucchiere unisce le diverse anime di ogni individuo, che appartenga al proletario o all’alta borghesia, che affida completamente la sua testa, elemento sotto gli occhi di tutti quindi primariamente distintivo, alle mani altrui diventando vulnerabile sotto le lame di forbici e rasoi. Una vulnerabilità che poi si manifesta attraverso la confessione, la chiacchiera, il pettegolezzo che ha contraddistinto da centinaia di anni le salon de coiffure come luogo pregno di informazioni e indiscrezioni su tutto e tutti, un confessionale dove il “prete” non è tenuto a mantenere il segreto professionale. In un contesto di questo tipo, se accadesse un omicidio, come potrebbe mai svilupparsi un’indagine? Ovviamente attraverso le parole, gli interrogatori svolti dagli stessi indagati, pregni di sottotrame, di connessioni scomode tra indiziati, di pettegolezzi che rendono ogni attore sul palco il possibile assassino.

L’esordiente Thomas Hardiman con Medusa Deluxe sceglie proprio il mondo del parrucco come location per mettere in scena un giallo anomalo che possa incentrarsi sulle relazioni tra personaggi: un microcosmo che rappresenta a perfezione il mondo di oggi, pieno di connessioni e segreti, di idiosincrasie, fluido e ammantato di rancore e invidie.  

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