TFF35. Bamy, la recensione
Il titolo finora meno riuscito del concorso Torino 35 è la horror-tale giapponese Bamy di Jun Tanaka.
Il tema messo in scena dal film è così spiegato: “il filo rosso del destino – un mito dell’Asia orientale che lega i due amanti (di Bamy, n.d.r.) – non è altro che una maledizione”.
In un giorno qualsiasi la giovane Fumiko Tashiro riconosce in Ryota Saeki una sua vecchia conoscenza dei tempi del college. L’incontro tra i due non potrebbe essere meno romantico, marcato peraltro da un insolito evento: un ombrello piovuto dal cielo. Ben presto tra loro si instaura un rapporto sentimentale in cui i due riescono ad unire le rispettive solitudini.
Ma la convivenza tra Fumiko e Ryota sarà tutt’altro che facile: il giovane è infatti perseguitato dalla presenza dei fantasmi che soltanto a lui è concesso di vedere. Questa sua “caratteristica speciale” disturba però la relazione con Fumiko che non riesce ad essere partecipe alla vita interiore del suo innamorato, ad entrare nel suo limbo più intimo. Ma un piccolo miracolo sta per avverarsi nella vita di questa giovane coppia.
Film disarmante e non privo di una sua visionarietà, Bamy risulta però tedioso per diversi motivi legati ad alcune – tuttavia rispettose – scelte di regia. Innanzitutto, l’idea di concentrarsi unicamente sul “mondo di mezzo”, sulla soglia tra i vivi e i morti, spesso non funziona con quel suo essere a discapito dei due protagonisti. Non si riesce a simpatizzare né tantomeno a provare empatia per Fumiko e Ryota, personaggi ridotti piuttosto a delle macchiette.
Il film si sforza dunque di andare oltre l’apparenza di un comunissimo horror giapponese andando alla ricerca di una vena più poetica (spesso fuori luogo), ma finisce invece col risultare onestamente poco intellegibile rimanendo forse circoscritto ad un pubblico strettamente nipponico.
Claudio Rugiero
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