The Forest of Love, la recensione

Lo scorso 11 Ottobre, l’odiato/amato Netflix non ha reso disponibile solamente il sequel di Breaking Bad, ma anche la nuova caotica follia di Sion Sono, The Forest of Love.

Fa uno strano effetto leggere il nome di questo autore accostato a Netflix, dato che il suo cinema così fuori dagli schemi e spesso respingente ha poco a che fare con il pubblico medio della piattaforma streaming. Eppure, circa due anni fa, anche “il rivale” Amazon Prime aveva pubblicato la sua miniserie Tokyo Vampyre Hotel, ma Prime si sta dimostrando una piattaforma molto coraggiosa per ciò che concerne spericolati salti nel vuoto: si pensi alla recente video-istallazione/serie tv di Nicolas Winding Refn.

Mai ci saremmo aspettati, dunque, di vedere nella library di Netflix un film che sfiora le due ore e mezza di durata con scene di smembramento (chi ha visto Cold Fish dello stesso Sono sa a cosa mi riferisco), espliciti riferimenti al sadomasochismo, tortura, umiliazione sia fisica che psicologica e chi più ne ha più ne metta. Insomma, non è proprio il tipico film Netflix con cui si passa una bella e spensierata serata.

Ma proviamo a dare alcuni cenni di trama, per quanto complicata, che sembra – almeno secondo la didascalia finale – ispirata ad eventi realmente accaduti. Un serial killer conosciuto come Murata si aggira per i boschi uccidendo a colpi di rivoltella giovani coppie (una sorta di Mostro di Firenze nipponico), e la pistola in questione è stata rubata ad un agente di polizia (una non troppo velata citazione di Cane randagio di Kurosawa). Nello stesso periodo, lo sfigato Shin fa amicizia con un paio di aspiranti registi un po’ fuori di testa ma di grandi ambizioni; questi ultimi scoprono che il loro nuovo amico è vergine e decidono di presentarlo ad una loro conoscente dai facili costumi. A sua volta, quest’ultima lo presenta ad una sua ex compagna di classe ancora sconvolta da una morte avvenuta ai tempi della scuola. Quando il diabolico e manipolatore Murata entrerà in contatto con questo strambo gruppo di giovani, le loro vite ne saranno stravolte…

Già la trama ha bisogno di una sorta di navigatore per riuscire a collegare tutti i pezzi del puzzle, ma svelare di più per essere più chiari rovinerebbe il bel meccanismo ad orologeria messo in piedi al regista giapponese.

Sono inizia da lontano e facendo un giro molto largo per arrivare al dunque, infarcendo la narrazione di flashback per dare allo spettatore il modo di ricostruire la vicenda e dare un senso logico alla follia che si dipana davanti ai suoi occhi. Partendo addirittura da una rivisitazione in chiave saffica del Romeo e Giulietta di shakespeariana memoria, che ha un ruolo fondamentale per i disturbi ed i sensi di colpa che affliggono le protagoniste femminili del film.

Tutti punti deboli che lo psicopatico Murata riesce a sfruttare a suo vantaggio, ottenendo sesso più o meno violento, ubbidienza cieca (anche se si tratta di uccidere e smembrare), soldi e presunto amore incondizionato. Amore incondizionato e sconsiderato che non viene rivolto solo a Murata (che ricorda molto una fusione tra il Dottor Mabuse e Harvey Weinstein), ma al cinema stesso. Murata non ci mette molto a convincere gli scalcagnati cineasti che la vita è come il cinema e viceversa. Ciò che si fa in un film può essere fatto nella vita reale, comprese le più sconsiderate nefandezze.

Qualcuno rimane ucciso in una scena del film? Pazienza: si fa a pezzi il corpo, se ne fanno polpette e lo si getta in pasto ai pesci del lago. E subito dopo si riprende a girare.

E l’amore viscerale per il cinema Sono lo dimostra sempre nella commistione di situazioni e generi che fanno delle sue opere dei cocktail eterogenei: si parte con un teen drama con al centro la figura dello sfigato (i due cineasti e il poeta/cantante), al dramma psicologico (repressione sessuale e trauma adolescenziale), al noir/thriller (il serial killer della foresta), all’horror/splatter ed infine all’exploitation purissima (sadomaso e torture). Sion Sono è così un fluire di immagini shock e patetiche, di personaggi che gridano e piangono, di colori pop e scene saffiche al limite del soft porn. È un autore che mescola sacro e profano, alto e basso dando però spesso più spazio a quest’ultimo. Semplicemente perché l’essere umano libero da regole e paletti non può che seguire le pulsioni animalesche.

The Forest of Love è una sorta di compendio di tutto il cinema di Sion Sono, e forse era proprio lo scopo iniziale di Netflix. Dare ad un autore con una poetica così weird e personale la possibilità di riassumere in 150 minuti tutti i suoi film precedenti, e sondare la risposta del pubblico.

Ho il presentimento che sarà la prima ed ultima collaborazione tra Sion Sono e Netflix, ma mai dire mai…

Sarebbe bellissimo continuare a vedere su questa piattaforma film con il divieto ai minori di 18 anni!

Disponibile su Netflix dall’11 Ottobre con sottotitoli in italiano.

Stefano Tibaldi

PRO CONTRO
  • Non è il suo capolavoro, ma è certamente un ottimo film che riassume i precedenti.
  • Una follia così crudele, divertente e terribile la si vede raramente (o mai) su Netflix.
  • Saprete come e dove inizierete la visione, ma non avrete mai la certezza di dove vi porterà.

 

  • L’eccessiva lunghezza non gli giova e un taglio di alcune situazioni ridondanti avrebbe ammorbidito il tutto.
  • Se non siete un minimo avvezzi a certa violenza tipicamente giapponese o al modo di trattare alcuni argomenti tabù, meglio passare oltre.
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Valutazione: 8.0/10 (su un totale di 1 voto)
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Valutazione: -5 (da 9 voti)
The Forest of Love, la recensione, 8.0 out of 10 based on 1 rating

One Response to The Forest of Love, la recensione

  1. BD Rj ha detto:

    Film ben girato ma con personaggi piattissimi e trama completamente sottotono, intriso di un surrealismo completamente inutile che rovina tutto e porta a chiedersi “quanto manca alla fine?” dopo la prima ora. Peccato perché Love Exposure é invece un gran film.

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