The House of the Devil, la recensione
Samantha è una giovane universitaria alla disperata ricerca di un lavoro per potersi pagare i primi mesi d’affitto della nuova casa dove sta per andare ad abitare. Si propone così come babysitter rispondendo ad un annuncio trovato nella bacheca davanti la sua università. Calato il sole, Samantha si reca sul luogo di lavoro dove viene subito accolta dal proprietario di casa, il signor Ulman. L’uomo, dopo averla fatta accomodare in casa, le rivela che in realtà non c’è nessun bambino a cui badare e l’annuncio era stato affisso per trovare qualcuno disposto a sorvegliare per poche ore l’anziana madre di sua moglie. Dopo un’esitazione iniziale che spinge il signor Ulman ad alzare notevolmente la paga, Samantha accetta il lavoro. Tutto procede liscio, nella casa regna il silenzio e Samantha sembra non avere complicazioni con l’anziana. Nel frattempo, tutti i programmi radiofonici e televisivi non fanno altro che parlare dell’eclissi di luna totale che sta per manifestarsi proprio quella notte.
Basta uno sguardo fugace nella cinematografia horror degli ultimi anni per capire che le pellicole revival non fanno più notizia e il fuori moda sta diventando una moda. Con sempre maggiore frequenza ci è possibile imbatterci in opere di giovani filmakers che ritirano in ballo tematiche e linguaggi cari ad un cinema di qualche decennio fa realizzando operazioni “nostalgiche” utili a far viaggiare indietro con i ricordi gli spettatori più “vissuti”. Ma tali “operazioni nostalgia” stanno diventando ultimamente così frequenti ed insistite che quasi occorrerebbe mettere un freno ed iniziare a ricordare il presente anziché il passato.
The House of the Devil apparentemente è solo l’ennesimo titolo che va ad aggiungersi alla corposa lista di prodotti revival. Eppure, c’è qualcosa che lo differenzia dalle altre pellicole analoghe, non tanto al livello qualitativo quanto a livello concettuale. In cabina di regia troviamo Ti West, salito ultimamente alla ribalta grazie al successo di X – A Sexy Horror Story, che sembra ispirarsi ad un certo cinema del terrore del passato più per vocazione che per seguire una semplice moda del momento. Già con il suo esordio nel lungometraggio, The Roost – La Tana, West aveva fatto intuire tutta la grammatica del suo cinema realizzando un prodotto che, seppur non di qualità eccelsa, si poneva come genuino (e in parte riuscito) omaggio verso tutti quei b-movie degli anni Ottanta. La cosa interessante è che The Roost, per l’appunto, è un film datato 2005, The House of the Devil è del 2009, X e il suo prequel Pearl del 2022, dunque ci troviamo dinnanzi a un autore che sta proseguendo con grande coerenza per la sua strada aggiungendo tasselli al suo progetto, senza aggrapparsi realmente a nessuna tendenza.
Pur essendo ambientato negli anni ’80, The House of the Devil si mostra sin da subito (basta vedere i titoli di testa) come un sincero omaggio al cinema horror degli anni ’70 e più che limitarsi ad un effimero gioco citazionista, il film di West cerca di adottare proprio il linguaggio, la narrazione, l’atmosfera tipica di quel decennio. L’operazione può dirsi decisamente riuscita e guardando The House of the Devil sembra davvero di trovarsi davanti ad un vecchio film degli anni Settanta. Nonostante questo look pienamente azzeccato, purtroppo, il film convince a metà sotto altri punti di vista, lasciando nello spettatore un fastidioso senso di vuoto e di incompiutezza.
Il film è proprio come un fuoco d’artificio tarocco, uno di quelli dotati di una lunghissima miccia ma incapaci di fare quel botto assordante che tutti giustamente si aspettano. La pellicola in questione, infatti, non fa altro che creare attesa, gode di una narrazione minimalista ma ricca di piccole sfumature che fanno attendere allo spettatore un gran finale capace di riscattare quel senso malsano di stasi e quiete che pervade l’intera pellicola. L’aspettativa, però, viene tradita e nel momento in cui la situazione inizia a decollare (più o meno intorno all’ora e un quarto) poco e niente accade. Nessun colpo di scena, nulla che già non ci si aspettasse dalla didascalia che apre il film, la svolta finale appare così prevedibile e il climax è sicuramente troppo breve (in netta sproporzione rispetto all’attesa). Insomma, la lunga miccia si è esaurita, il botto è avvenuto ma non è stato necessario tapparsi le orecchie per preservare l’udito.
Sul versante attoriale nulla da ridire. Molto convincente l’interpretazione della protagonista Jocelin Donahue, la babysitter Samantha, unica attrice per gran parte del minutaggio e capace di reggere la scena senza troppe difficoltà. Sempre in forma Tom Noonan (Manhunter – Frammenti di un omicidio, Last Action Hero) qui nei panni del poco rassicurante signor Ulman e da segnalare anche la sempre gradita presenta di Dee Wallace (L’Ululato) in un piccolo cammeo ad inizio film.
Insomma, The House of the Devil è un film che convince a metà: un esperimento sicuramente ben riuscito in quanto la confezione è tipica degli anni ’70, ma penalizzato da una narrazione squilibrata incapace di offrire quel finale d’impatto che la lunga attesa aveva fatto bramare.
Curiosità: Solo un anno prima, nel 2008, era stato realizzato per mano dei registi Jonas Barnes e Michael Manasseri l’interessante film Babysitter Wanted che, a somme tirate, presenta più di qualche analogia con il film di Ti West. Entrambi i film sono rimasti inediti in Italia.
Roberto Giacomelli
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