The Lesson – Scuola di Vita, la recensione

Dramma senza via di fuga, The Lesson – Scuola di vita, primo film di Kristina Grozeva e Petar Valchanov, mette in scena l’inesorabile discesa morale di Nadia, onesta professoressa d’inglese.

Nadia (Margita Gosheva) ha poche ore per salvare la propria casa. L’irresponsabilità del marito, infatti, la costringe alla disperata ricerca dei soldi da versare alla banca per evitare l’asta dell’immobile. Fra il padre e la sua nuova famiglia, una burocrazia labirintica, strozzini e imprevisti, l’impianto morale e umano di Nadia sarà totalmente messo in discussione.

Particolarmente intelligente è la scelta di Grozeva e Valchanov di affiancare a questa storia principale, quella del furto di un portafoglio nella classe di Nadia. La ricerca di chi ha sottratto i soldi di una studentessa, infatti, punteggia tutto The Lesson. Vero e proprio termometro morale di Nadia, questa vicenda, è la carta carbone su cui si valuta la resistenza dei suoi principi.

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The Lesson mette in scena un mondo crudele e impietoso. Dove non solo per due lev (poco più di un euro) si può perdere la casa, ma dove non vi è scampo per i principi morali dell’individuo. Il sistema – burocratico e sociale – non lascia scampo a Nadia: abbassarsi alla mancanza di ogni scrupolo è l’unica soluzione per sopravvivere. È questa la lezione su cui gioca il titolo. Nadia, irreprensibile professoressa d’inglese, riceverà l’insegnamento più duro da una maestra altrettanto severa: la strada.

Grozeva e Valchanov riescono a rendere bene questo senso di crudeltà ed estraniazione con una regia sporca, che segue con la camera a mano costantemente Nadia. Di chiara ripresa della poetica dei Fratelli Dardenne, mostrano impietosamente tutta la disperazione e la crudeltà dietro e attorno la miseria, morale ed economica. In una parola, sociale.

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Il mondo che si viene a creare è un mondo grottesco, ma privo di ironia. Le situazioni che affronta Nadia, dal padre ai problemi con l’auto, sono situazioni paradossali e, fondamentalmente, surreali. Ma il tutto è virato in un’ottica quasi perversa. Il surrealismo di simili eventi perde tutta la propria bonarietà, e diventa un sistema arcigno che si accanisce sull’individuo e le sue pretese morali.

Il limite strutturale di The Lesson è, forse, la sua totale aderenza al modello del cinema autoriale europeo. Un cinema fatto di denuncia sociale, alienazione e miseria. Camera a mano, tempi dilatati, realismo della messa in scena. Campo-controcampo e colonna sonora, banditi. The Lesson rispetta completamente questo vademecum. Ed è forse la sua parte che convince meno. Molto più riuscite e spiazzanti, le pennellate grottesche, che, seppur in alcuni casi prevedibli, riescono a rendere la sensazione di vivere in un sistema privo di senso.

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Crudele e disperato, The Lesson nelle intenzioni dei due registi vuole essere il primo di una trilogia, dedicato “alle persone semplici che combattono la logica mercantile”. La prima battaglia è stata persa. Ora si può solo che aspettare le successive.

Samuele Petrangeli

PRO CONTRO
  • Atmosfera che rende perfettamente la frustrazione di Nadia.
  • Buon coinvolgimento emotivo.
  • Alcuni passaggi prevedibili.
  • Pigra adesione al vademecum del cinema autoriale europeo.
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