The Woman King, la recensione

Siamo nel 1823 e il regno africano del Dahomey, guidato dal re Ghezo, deve difendersi dalle pressioni del vicino regno di Oyo che esige vantaggi sempre più ingenti nell’attività di scambio e commercio. La principale fonte di guadagno economico di entrambi i regni, così come di altri in Africa, è il commercio degli schiavi africani con l’Europa e, in particolare, sia il Dahomey che l’Oyo hanno un fiorente rapporto di clientela con il Portogallo. Il Dahomey, inoltre, ha un efficientissimo corpo speciale militare femminile, le Agojie, sotto la guida del generale Nanisca. Quest’ultima, che ha una grande influenza sulle decisioni di re Ghezo, suggerisce di abbandonare la tratta degli schiavi in favore della produzione e del commercio di olio di palma, una decisione mal vista dai compratori portoghesi. Nel frattempo, la giovane Nawi, che ha rifiutato di sposare un anziano e facoltoso possidente come avrebbe voluto la sua famiglia, viene mandata ad addestrarsi con le Agojie finendo presto per essere notata da Nanisca. Ma la guerra per il commercio è ormai alle porte e dal valore delle Agojie dipende la vittoria o la resa del Dahomey.

E così anche la (non troppo nota) Storia del Dahomey e delle sue leggendarie guerriere è finita nelle mire di Hollywood con un blockbuster targato Tristar Pictures il cui soggetto (a cura dell’attrice Maria Bello, anche co-produttrice) campeggia sulle scrivanie dei produttori da diverso tempo. Rumors bisbigliano, infatti, che l’interesse di Hollywood per le guerriere Agojie si sia svegliato in seguito al successo del marveliano Black Panther e del suo iconico corpo militare femminile, le Dora Milaje, che proprio alle amazzoni del Dahomey si ispirava. Insomma, un gioco a rincorrersi di rimandi e influenze che ha dato vita a The Woman King, poderoso blockbuster epico-storico che ci racconta il Dahomey scegliendo un evento in particolare, la rinuncia al commercio degli schiavi.

Storicamente parlando, quella rinuncia effettivamente proclamata dal re Ghezo avvenne ma fu momentanea, visto che l’olio di palma non portò al Dahomey altrettanta fortuna economica come il mercato degli esseri umani. La sceneggiatura di Dana Stevens e Gina Prince-Bythewood, anche regista, però si concentrano solo su quel momento, il più glorioso e lungimirante, che andava ad esaltare il valore di un regno che si è fatto – forse involontariamente – simbolo dell’emancipazione femminile.

L’attenzione, infatti, è tutta rivolta verso queste amazzoni nere atletiche e letali, organizzate e leali che sfoderando muscoli, agilità e tattica riuscivano a tener testa e sconfiggere interi eserciti di uomini. The Woman King sceglie, giustamente, un punto di vista particolare per raccontarci il Dahomey e le Agojie, quello di una ragazzina ribelle che viene messa alla porta dalla sua famiglia e decide di “arruolarsi” nel corpo reale. Attraverso i suoi occhi scopriamo una società patriarcale fortemente influenzata dall’azione e dalle decisioni femminili e un sistema di addestramento militare che ci ricorda molto da vicino quello spartano così come ci è stato mostrato da Zack Snyder nel cinecomic 300. Il sangue e il sudore si uniscono a una tattica ferrea in cui non possono esserci errori o improvvisazioni, rischio fallimento, e in cui il cameratismo lascia il posto a un rapporto fraterno e sincero tra le guerriere e le future tali.

L’idea di uno sguardo quasi esterno, o meglio in via di integrazione, è senza ombra di dubbio vincente perché aiuta narrativamente ed emotivamente lo spettatore ad entrare in una società con delle regole e dei ruoli sicuramente non famigliari ai più. Il racconto di The Woman King, invece, è perfettamente introduttivo e può facilmente concedersi delle divagazioni melò che consentono allo spettatore di legarsi ed empatizzare con tutti i personaggi, nonché spingersi in territori pesantemente fictional e drammatizzazioni a base di intrighi, amori e colpi di scena.

Come è facile aspettarsi da una produzione come questa, le scene d’azione sono un grande valore aggiunto di The Woman King e seppure siano elargite con parsimonia, quando arrivano lasciano il segno grazie a spettacolari coreografie e un’ottima performance da parte di tutte le attrici, a cominciare dalla giovane Thuso Mbedu di The Underground Railroad, che interpreta Nawi, e la bondiana Lashiana Lynch che è il suo mentore Izogie, a cui sono affidate alcune scene fisiche davvero notevoli. Ovviamente è Viola Davis a dare un bel colpo a tutto il cast con un ruolo che effettivamente le mancava e che conferma la sua estrema versatilità e professionalità.

Un po’ action, un po’ melò e con un contesto storico cinematograficamente molto originale, The Woman King possiede la formula perfetta per un blockbuster che può rimanere nel tempo. Il boxoffice americano però non lo ha premiato, nonostante la calorosa accoglienza della critica, a conferma che il cinema “delle minoranze” tre volte su quattro non attira il pubblico generalista, ma The Woman King merita attenzione perché riesce a centrare davvero molti obiettivi, non ultimo l’essere arrivato al cinema in un momento storico che gli da un vigore sociale particolare.

The Woman King è uscito nei cinema statunitensi nel mese di settembre, in Italia arriva il 1°dicembre distribuito da Sony Pictures.

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • Racconta una storia poco nota ai più.
  • Scene d’azione ben coreografate.
  • Appassionate e ritmato.
  • C’è almeno un terzetto di ottime attrici nel ruolo delle amazzoni.
  • Pur concentrandosi su un periodo specifico della storia del Dahomey, non spiegando – neanche con delle didascalie – cosa è avvenuto dopo crea una sorta di falso storico.
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