Un marito a metà, la recensione

Lettera aperta ai cineasti d’oltralpe

Carissimi alfieri della gallica arte cinematografica,
cosa dissesta le vostre mise-en-scéne e annichilisce i vostri ciak? Che ne è dei guizzi di scrittura e del brillante humour che a ragione vi hanno eletti esponenti indiscussi della commedia europea? In poche parole: perché non ne azzeccate più una?

Urge un passo indietro per contestualizzare questa sconsolata polemica. State leggendo la recensione di Un marito a metà, ultima fatica di Alexandra Leclére. E’ pertanto opportuno cominciare dal film, che narra la surreale vicenda del fedifrago marito Jean (Didier Bourdon). Costui, una volta scoperto dalla moglie (Valérie Bonneton), anziché perdere capra e cavoli si ritroverà a fare i conti con un’inaspettata condizione: oggetto di un affidamento congiunto tra la consorte e l’amante (Isabelle Carré). Tuttavia Jean, pingue professore dall’inspiegabile sex appeal, imparerà a sue spese che quella che si prospetta come una situazione da sogno potrebbe piuttosto trasformarsi in un grottesco incubo…

Gentile Alexandra, regista nonché sceneggiatrice di questo intreccio, permettimi una domanda (scusa se ti do del tu, in Italia siamo informali): sei seria? Tu te fous de moi?
Il pubblico, a parer tuo, sarebbe riuscito a immedesimarsi in una simile premessa e a provare empatia per i protagonisti? Domanda retorica, evidentemente lo credevi. Così come, appena 3 anni fa, eri convinta che, con il narcolettico Benvenuti… ma non troppo, avresti firmato una pungente e provocatoria satira sociale. Lascia che ti dica una cosa, con il dovuto rispetto: questo terreno non fa per te. Mi spiego: la tua scelta ricorrente di partire da uno spunto paradossale per raccontare vizi e debolezze dei nostri tempi non è affatto deprecabile, se sostenuta da uno sviluppo coinvolgente e personaggi d’effetto. Estremizzare va bene, ma con criterio e arguzia.

Probabilmente avevi intenzione di rappresentare un inno alla sfaccettata e imprevedibile natura femminile e una sagace analisi della precaria condizione del quotidiano concetto di famiglia. Sai, invece, cosa vede chi assiste al tuo film? Due donne intelligenti litigare senza esclusione di colpi per un ometto insulso fino a rendersi pateticamente ridicole. Accetta un umile consiglio da una quasi-ex amante di pellicole firmate dai tuoi connazionali: se la denuncia e il ritratto della società ti stanno così a cuore – e ciò è ammirevole – cambia approccio. Talvolta meglio un po’ di sano realismo che una farsa chiassosa e dimenticabile. Altrimenti, lasciamo che a Ciceroneggiare a suon di O tempora, o mores! sia chi sa garbatamente intessere comicità e attualità (un nome a caso? Il Philippe de Chauveron di Non sposate le mie figlie!).

Qualora non fosse lampante, Un marito a metà non convince sin dal principio; si limita a strappare qualche risata a denti stretti nella prima parte, per poi scivolare inesorabilmente in un tunnel di goffe bizzarrie. Questo nulla toglie agli interpreti, già visti nel già citato Benvenuti… ma non troppo: la Bonneton mette in gioco tutta se stessa malgrado, ancora una volta, intrappolata in un ruolo ben al di sotto del suo carisma (ricordate la nevrotica amante di Tutti pazzi in casa mia?). Promosso a pieni voti anche Didier Bourdon, che conquista con la sua versatile espressività e l’aria di chi si crede furbo ma è, di fatto, vittima di se stesso.

Cosa dedurre da tali considerazioni? Senz’altro che il cinema francese vanta, ad oggi, una consistente schiera di ottimi attori (dal mostro sacro Christian Clavier al più giovane Romain Duris, passando per la meravigliosa Valérie Lemercier) ma è arenato in una fase in cui sembra aver smarrito quella frizzante verve e quella sensibilità mai stucchevole che hanno consacrato cult quali La cena dei cretini e Giù al Nord o più recenti gioiellini come Populaire o Cena tra amici.

Chi scrive non può che concludere questa semiseria missiva con un malinconico ma non ancora disilluso appello.
Mi rivolgo a Eric Lavaine, Philippe Lacheau, Audrey Dana e a tutti voi, giovani promesse della comicità francese che, di recente, ci avete regalato cocenti delusioni. Siete perdonati, ma col beneficio del dubbio. Regalateci qualche gradevole sorpresa che smetta di farci rimpiangere l’inflazionato Intouchables o persino Il favoloso mondo di Amelie!
Cordialement,

Chiara Carnà

PRO CONTRO
  • Non dispiace mai ammirare la versatilità e la professionalità degli attori francesi.
  • Mortifica l’amore per la commedia francese, che da qualche tempo riserva ai suoi affezionati prevalentemente delusioni.
  • Il paradossale triangolo amoroso non coinvolge il pubblico né è funzionale alle intenzioni della regista.
  • E’ un film inutilmente chiassoso, zeppo di cliché e vagamente maschilista.
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Valutazione: 5.0/10 (su un totale di 1 voto)
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Valutazione: +8 (da 8 voti)
Un marito a metà, la recensione, 5.0 out of 10 based on 1 rating

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