Una notte di 12 anni, la recensione

La torre centrale di un carcere. Un movimento di macchina circolare impregnato di soffocante repressione. Sin dai primi fotogrammi, Una notte di 12 anni, ultima fatica di Álvaro Brechner, suggerisce chiaramente le proprie intenzioni: farsi specchio impietoso della disperazione e del terrore che gli esseri umani possono arrivare a sperimentare nelle condizioni più estreme che potremmo immaginare.

Il film racconta la drammatica vicenda realmente vissuta da tre uomini nel 1973 in Uruguay, sotto il regime dittatoriale militare di Bordaberry. In quell’anno, a settembre, José Pepe Mujica (Antonio de la Torre), Mauricio Rosencof (Chino Darín) e Eleuterio Fernández Huidobro (Alfonso Tort), militanti nel movimento di estrema sinistra dei Tupamaros, furono condannati alla detenzione in isolamento (che durò, appunto, ben 12 anni) e costretti a subire soprusi e torture di ogni genere.

La sola idea di una simile condanna è talmente atroce e disumana da apparire irreale.
Brechner, lavorando con grande intelligenza, più che un film di denuncia civile mette in scena una stratificata e tormentata fenomenologia dell’interiorità e dell’individualità. La pellicola, infatti, non si limita a enunciare l’alienante segregazione dei tre protagonisti e la loro solitudine letterale ed esistenziale, ma pone degli interrogativi tanto spaventosi quanto concreti.
Come si possono mantenere lucidità e, soprattutto, dignità in simili condizioni? È possibile per l’essere umano tollerare e sopportare per così tanto tempo la totale privazione dei propri inalienabili diritti?

L’uomo che ha perso tutto, scopriremo con commosso sgomento, si aggrappa a se stesso. Fa appello al proprio pensiero, ai mille labirinti della mente, alla fantasia. Se vien meno la necessaria libertà di comunicare col prossimo, ci si relaziona con se stessi e si fanno i conti con le proprie stanche facoltà, messe a durissima prova.
Ascoltare il silenzio; reinventare l’oscurità; assorbire ogni brandello di vita.
Insomma, aggrapparsi alla realtà con ogni fibra e trasformarsi in veri e propri eroi della sopravvivenza.

Una notte di 12 anni adotta un’impostazione narrativa di sorprendente impatto, resa ancor più efficace dal montaggio (che alterna flashback a un presente spesso distorto) e dalla fotografia d’impenetrabili e asfissianti spire firmata da Carlo Catalàn.
Il vero fiore all’occhiello, tuttavia, sono le straordinarie capacità dei tre protagonisti.
Gli attori (Antonio de la Torre su tutti) sono eccezionali nel dar volto e corpo all’angoscioso percorso esistenziale dei prigionieri verso la ri-creazione di sé e della speranza.

Lo spettatore si cimenterà in un violento tour de force emotivo che lo porterà a riflettere con inedità gravità sull’importanza di valori che, fortunatamente, siamo abituati a dare per scontati. E dopo aver lottato accanto ai protagonisti e visto vacillare con apprensione le precarie condizioni del loro equilibrio psichico, accoglierà la fine dell’incubo con sentimenti lontani dalla catarsi e più affini a una imperturbabile agnizione.

L’epilogo, infatti, rifugge retorica e spettacolarità. Preferisce configurarsi come un inno a una rinascita autentica e invincibile. E un appello a non dimenticare che, a prescindere dalle tragedie che potrebbero colpirci, non dobbiamo negarci una seconda occasione. Ricordiamo che, nel 2010, José Mujica diventerà Presidente dell’Uruguay.

Chiara Carnà

PRO CONTRO
  • È una tragica pagina di storia raccontata con efficacia da un punto di vista estremamente delicato e inedito.
  • Le eccezionali interpretazioni dei protagonisti.
  • Nessun contro, ma è un film molto drammatico e difficile da digerire. Quindi non per tutti.
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Valutazione: 8.0/10 (su un totale di 1 voto)
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Una notte di 12 anni, la recensione, 8.0 out of 10 based on 1 rating

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