Brimstone, la recensione
La vita di Liz (Dakota Fanning), giovane madre muta, viene sconvolta dall’arrivo in città del Reverendo (Guy Pierce), un uomo misterioso che inizia a perseguitare lei e la sua famiglia. Dal passato riemerge qualcosa di terribile, che la donna pensava ormai essere stato sepolto per sempre.
Presentato in concorso alle 73esima edizione della Mostra dell’arte cinematografica di Venezia, Brimstone di Martin Koolhoven, è l’ultima cosa che potresti immaginarti di trovarti in gara in un festival di questo tipo.
Una mescolanza di generi che vanno dal thriller, al western, all’horror splatter con spruzzate gotiche, strizzando l’occhio un po’ a Tarantino e un po’ al Burton di Sleepy Hollow (e in generale alla Hammer), senza concedersi però nulla della sagace e stemperante ironia che li caratterizza.
Brimstone è un film crudele, per usare un eufemismo, che affonda le unghie e i denti nelle peggiori perversioni e derive della natura umana. Mette in luce con spietata lucidità gli estremi a cui possono portare il fanatismo e l’influenza religiosa all’interno delle piccole comunità, in rapporto soprattutto alla condizione femminile.
Il Bene e il Male, sono simboleggiati rispettivamente da Liz e dal malvagio Reverendo, costretti a scontrarsi in un’eterna lotta destinata inevitabilmente a non trovare né vincitori, né vinti, ma solo il ritorno ad un giusto equilibrio delle parti.
Un viaggio a ritroso alla scoperta di un passato oscuro, tragico, che serba molto più di quanto non si sveli alla vista.
Il fascino dark e spettrale del piccolo paese dove Liz e la famiglia vivono, e che ci accompagna nel corso del primo capitolo della storia, lascia spazio alle ampie distese delle Badlands, una delle zone più desertiche e inospitali del South Dakota. Un west selvaggio quasi quanto chi vi abita, governato da una legge che vede sempre prevalere il più forte e che condanna le donne ad essere preda dei più bassi istinti maschili.
Reale e sovrannaturale si sovrappongono, e ogni personaggio della commedia finisce per diventare metafora di qualcosa di più grande, una verità assoluta dal sapore mistico.
Dakota Fanning è perfetta nel ruolo della misteriosa e tormentata Liz, capro espiatorio del mondo ma anche inossidabile combattente, “era una guerriera, è così che la ricordo” racconta la figlia, prima testimone del coraggio e della volontà ferrea della madre.
Inutile però negare che è il demoniaco Reverendo di Guy Pearce a catalizzare l’attenzione di tutti, un ruolo che sembra essere stato cucito su misura per l’attore australiano, che lo sfoggia provocando la giusta dose d’inquietudine e raccapriccio.
Brimstone non è un film dai contenuti adatti a tutti. Non è nemmeno il migliore del suo genere e soffre di un evidente problema di prolissità che si sarebbe potuto risolvere con qualche taglio strategico in più (due ore e venti sono decisamente troppe), ma nel complesso è ben strutturato e intrigante.
Consigliato agli appassionati del genere.
Susanna Norbiato
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