Venezia78. Qui rido io, la recensione

Vincenzo m’è padre a me!”, ripete meccanicamente Peppiniello in Miseria e nobiltà innescando il tormentone comico. Una frase entrata nella storia del teatro, del cinema, della commedia italiana nel suo complesso, grazie all’estro di Eduardo Scarpetta, uno dei più grandi commediografi della Storia del nostro Paese, creatore della maschera comica Felice Sciosciammocca (portato al cinema con grande successo da Totò) e padre biologico di Eduardo, Peppino e Titina De Filippo, ovvero il trio di talenti più importante della scena teatrale italiana del dopoguerra per almeno un trentennio.

Mario Martone, che oltre ad essere un uomo di cinema è un uomo di teatro, cattura l’immagine di Eduardo Scarpetta e il personaggio che ne è scaturito per fornirne una descrizione costantemente in bilico tra realtà e scena. Qui rido io, in concorso alla 78ª Mostra del Cinema di Venezia e al cinema dal 9 settembre, fornisce uno spaccato limpido di un’epoca, la Napoli della Belle Époque, di un contesto, l’ambiente artistico teatrale, e affronta la tematica della paternità, intesa tanto dal punto di vista biologico quanto da quella prettamente artistico.

Siamo a Napoli, all’inizio del ‘900, e il pubblico dei teatri acclama Eduardo Scarpetta, vera star dello spettacolo che è stato capace di “uccidere” Pulcinella rimpiazzandolo con il personaggio di Felice Sciosciammocca, nuova inconfondibile maschera della commedia dell’arte partenopea. Eduardo ha un pubblico vasto tanto quanto la sua famiglia, composta da mogli, amanti e uno stuolo di figli legittimi ma soprattutto illegittimi, avuti con sua cognata Maria e con la sua giovane nipote Luisa De Filippo. In particolare quest’ultima sembra essere nelle sue grazie e ha dato alla luce Titina, Eduardo e Peppino, ognuno dei quali deve interpretare Peppiniello al teatro in Miseria e nobiltà, anche contro la volontà, come accade al vivace Peppino. Intanto Vincenzo, unico vero figlio che Eduardo ha avuto con sua moglie Rosa, cerca di seguire le orme del padre pur cercando una sua strada, lontana dall’ingombrante eredità di Felice Sciosciammocca. È proprio per dare al figlio Vincenzo una parte da protagonista in scena che Eduardo decide di scrivere una parodia de La figlia di Iorio, la tragedia pastorale di Gabriele D’Annunzio che ha da poco debuttato sulle scene. Ma, nonostante il consenso verbale di D’Annunzio a procedere, Scarpetta si vede denunciato per plagio. Ma dove risiede il confine tra plagio e parodia?

Come si diceva, Qui rido io è un film che parla di paternità.

Eduardo Scarpetta, dai racconti emersi e come si può anche vedere nel film, è sempre stato in bilico sul concetto di “buon padre”, probabilmente molto più interessato al suo ego smisurato che si riempiva ad ogni replica di Miseria e nobiltà o di Un turco napoletano che alla sua stessa prole. Una prole che, secondo il suo punto di vista da mattatore delle scene, doveva essere in primis fautrice della sua immortalità come autore, quindi raccogliere la sua eredità artistica e tramandarla nel tempo. Una volontà praticamente esaudita visto che stiamo analizzando questo film e che vi recita in un ruolo importante (Vincenzo, il figlio legittimo) proprio il suo pronipote, anche lui all’anagrafe Eduardo Scarpetta. La paternità, dunque, in casa Scarpetta è un concetto spinoso perché è talmente ampio da mettere in crisi la stessa visione che i figli/nipoti avevano dell’immagine del padre/zio. Non a caso coloro che hanno raccolto in maniera più tenace e con esiti più importanti l’eredità sono proprio i De Filippo, mai riconosciuti legalmente come figli.

Ma la paternità può essere anche attribuita a un’opera d’ingegno, come un testo teatrale, motivo per il quale Eduardo Scarpetta si trova a rispondere davanti a un giudice, difeso perfino da Benedetto Croce. La figlia di Iorio di Gabriele D’Annunzio è stata plagiata da Il figlio di Iorio di Eduardo Scarpetta? In quegli anni, in cui il diritto d’autore era un concetto ancora in via di definizione (almeno per quel che è oggi), l’idea che si aveva di parodia non era troppo differente da quella di plagio. Mancavano dei precedenti giudiziari a riguardo e il “caso Scarpetta vs D’Annunzio” è diventato un po’ l’apripista di questa branca del diritto d’autore. La paternità dell’opera di D’Annunzio diventa dunque labile tanto quanto la paternità di Scarpetta dei suoi figli.

Da un punto di vista della scrittura, che Martone condivide con Ippolita di Majo, Qui rido io è fortemente incentrato sul suo protagonista, un Eduardo Scarpetta bonariamente “mascalzone”, egocentrico, fedifrago, materialista, narcisista, picchiatore di figli eppure adorabile mattatore da palcoscenico, astuto in casi e ingenuo in altri, grande amatore di donne, affettuoso padre/zio in diverse occasioni e soprattutto immenso artista. Eduardo Scarpetta, nella grandiosa interpretazione del trasformista Toni Servillo, è un personaggio sfaccettato, borderline, per certi versi vicino al Silvio che Servillo ha interpretato per Sorrentino. Ma spesso in Qui rido io il punto di vista sembra essere quello del giovane Eduardo De Filippo (il bravo Alessandro Manna), che scruta in silenzio l’operato del padre/zio, lo studia e tenta di replicarlo.

In alcuni casi Martone scade nella macchietta, come nella scena grottesca a casa di Gabriele D’Annunzio, e la scelta musicale sembra più che altro un ricettacolo di stereotipi per un pubblico non-italiano, ma nel suo complesso troviamo un’opera ricca (anche visivamente parlando), sfumata, ottimamente scritta e con un cast ben assortito e molto in parte che oltre a Servillo e Scarpetta Jr. vanta i nomi di Maria Nazionale, Cristiana Dell’Anna, Gianfelice Imparato, Iaia Forte, Antonia Truppo, Lino Musella e Gigio Morra.

Insomma, Qui rido io è uno di quei casi – purtroppo rari nel cinema italiano – in cui un biopic storico è davvero Cinema e non solo televisione mascherata da cinema.

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • Un grandissimo cast, capitanato dal trasformista Toni Servillo in odore di premiazione.
  • Ricostruisce la vita di Eduardo Scarpetta con puntuale ambiguità e racconta uno dei primi casi giuridici incentrato sul diritto d’autore.
  • Una ricostruzione storica generale molto valida.
  • C’è qualche concessione alla macchietta.
  • Le musiche fatte tutte di classici della canzone napoletana risultano un po’ stucchevoli.
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