Venezia80. The Palace: il castello di carte che crolla

Una commedia firmata da Roman Polanski: con queste premesse, l’aspettativa naturale è l’umorismo intelligente e spietato di Carnage. L’esito è però un cinepanettone stantio, con standard di scrittura decisamente più bassi rispetto agli storici Boldi-De Sica degli anni ’90 – pronti a essere rivalutati.

The Palace, presentato fuori concorso alla 80ª Mostra del Cinema di Venezia e in uscita nelle sale italiane il 28 settembre, è qualcosa di peggio di uno scivolone: è una caduta libera. Un’ora e quaranta in costante e tenace peggioramento, nonostante le buone intenzioni di alcuni membri del cast, come il sempre divertente John Cleese.

Alpi svizzere, Capodanno 1999-2000: la fantomatica minaccia del Millennium Bug serpeggia tra gli ospiti del lussuoso Hotel Palace (realizzato, negli esterni, con una CGI approssimativa degna dei primi anni Duemila). Polanski vorrebbe portare in scena una storia corale: tra i ricchi viziati che si trascinano nei corridoi del Palace c’è un pornoattore in pensione (Luca Barbareschi), un rozzo magnate americano (un Mickey Rourke che ha visto annate migliori), una combriccola di russi loschi con valigette piene di soldi, uno stormo indefinito di anziane signore rese irriconoscibili dagli interventi estetici che inseguono un noto chirurgo plastico, una donna svenevole preoccupata dalle feci del suo cagnetto, una coppia di sposini dall’age gap considerevole…

Questa galleria di personaggi grotteschi potrebbe, sulla carta, porre le basi per una satira sociale graffiante. Ma procedendo nella visione diventa tragicamente chiaro che Polanski rinuncia a qualsiasi pretesa di controllo e gestione delle storyline. Pochi intrecci, nessuna risoluzione degli archi narrativi dei protagonisti. Non è possibile nemmeno parlare di finali aperti: i finali sono assenti, le storie stesse sono assenti.

Le rocambolesche vicende degli ospiti del Palace Hotel si risolvono in gag fini a sé stesse, ripetitive, spesso triviali o apparentemente casuali. Polanski cerca di far ridere lo spettatore con vomito, deiezioni, tette, battute sui genitali e personaggi omosessuali stereotipati, in pieno mood anni ’90 ma senza l’incosciente leggerezza dell’epoca.

Il cane fa la cacca sulle lenzuola, il chirurgo decreta che ha i vermi, la proprietaria sviene e si consola invitando l’idraulico in camera. Il pornoattore ha un incidente sugli sci e si frattura il naso: il magnate americano, all’orinatoio, osserva ammirato le dimensioni del suo pene (il personaggio di Barbareschi si “chiude” così, con una chiosa laconica sull’impotenza senile). L’anziano marito della coppia di sposi muore durante un amplesso con la giovane e prosperosa mogliettina, che rimane incastrata nei genitali del compagno e chiama il direttore a liberarla. Un ambasciatore russo resta chiuso nel caveau con i soldi: esito narrativo dell’incidente? Non pervenuto.

Il racconto, in The Palace, non è solo inconsistente: è inesistente. Si percepisce che è una commedia di Polanski dalle premesse, quello che resta della sceneggiatura avrebbe potuto avere esiti più felici affidando un prompt a ChatGPT.

Sono passati appena quattro anni da L’ufficiale e la spia, ultimo lavoro di Polanski prima di The Palace, ma la distanza nella qualità di scrittura e regia è sconcertante. Forse, per rendere giustizia alla carriera di Polanski, una battuta d’arresto con il 2019 sarebbe stata la scelta più saggia: The Palace è offensivo. Non tanto per il pubblico, quanto per l’autore.

Sara Boero

PRO CONTRO
  • Gli altri titoli dell’ottima filmografia di Roman Polanski.
  • Costruzione delle storyline inesistente.
  • Gag banali e stantie.
  • Gestione approssimativa del cast, con alcune eccezioni.
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