Wrong Turn, la recensione

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Con un rapido gioco di memoria, il pubblico del cinema horror sicuramente individuerà in Wrong Turn (2003) di Rob Schmidt uno degli slasher più caratteristici e incisivi dei primi vent’anni del terzo millennio, un efficacissimo miscuglio tra Le colline hanno gli occhi di Wes Craven e Un tranquillo week-end di paura di John Boorman condito da truci e spettacolari effetti di make-up. Un successo a tutto tondo che ha anche segnato l’inizio di una lunga saga proseguita fino al sesto capitolo del 2014, tutti sequel straight-to-video che hanno abbassato la qualità a mano a mano che cresceva il numero vicino al titolo. Giunti al classico punto morto con fantomatici prequel che non portavano più la storia da nessuna parte, i produttori di Summit Entertainment hanno mollato la presa e il franchise è rimasto in mano a Constantin Film che si è affidata a Saban Films per rebootare il franchise.

Recuperato il creatore della saga Alan McElroy alla sceneggiatura e assunto come regista Mike P. Nelson del post-apocalittico The Domestics, è così nato il progetto di Wrong Turn versione 2021, conosciuto anche come Wrong Turn: The Foundation, un film completamente nuovo, slegato dalla saga dei cannibali dei boschi e intento a seguire strade inesplorate. Ma attenzione! Il nuovo Wrong Turn non solo è nettamente scisso dalla saga, ma cerca anche un approccio in parte rinnovato nel linguaggio scelto che non è più quello dello slasher in salsa splatter, ma dell’horror realistico dai connotati psicologici e di critica sociale.

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Jennifer, il suo ragazzo Darius e gli amici Milla, Adam, Luis e Gary si avventurano in West Virginia per un fine settimana all’insegna del trekking: il loro obiettivo è esplorare un tratto della catena montuosa degli Appalachi. Dopo aver riscontrato la classica ostilità degli indigeni che non vedono di buon occhio gli stranieri, Jennifer e i suoi amici vengono ammoniti dal gestore della locanda in cui hanno preso alloggio: mai e poi mai allontanarsi dal sentiero! Ovviamente i sei amici non seguiranno il consiglio finendo preda di una serie di trappole mortali misteriosamente piazzate tra gli alberi.

Con un montaggio che anticipa la scomparsa di Jennifer (Charlotte Vega di The Lodgers e American Assassin), oggetto delle ricerche del padre – interpretato da Matthew Modine – nel prologo, Wrong Turn ci immerge nella medesima location boschiva che ha fatto da sfondo a tutti i film della saga, recuperando dagli stessi anche il gusto dei villain per trappole artigianali nascoste tra i cespugli, gli alberi e il terriccio. Ad esclusione di questi piccoli richiami che giustificano il titolo, Alan McElroy, che ricordiamo anche come sceneggiatore di Halloween 4 – La maledizione di Michael Myers e Spawn – si gioca le carte dell’horror sociale e getta i suoi incauti protagonisti nelle fauci del razzismo e di un passato scritto nel sangue che non sembra voler abbandonare gli Stati Uniti.

Wrong Turn

Seguendo in maniera meno sottile le suggestioni esplorate con successo dal cinema di Jordan Peele, il film di Mike P. Nelson racconta l’America radicata nella tradizione, bigotta, fortemente ancorata a un passato confederato e a un presente repubblicano e conservatore che rigetta letteralmente il progresso e il globalismo. La dimensione senza tempo in cui si trovano intrappolati i protagonisti di Wrong Turn ci mostra un microcosmo votato all’imbarbarimento sociale, alla negazione di ogni regola del vivere moderno, a un’anarchia pagana che trova una credibilità nell’assoluta inverosimiglianza della situazione. È come se 2000 Maniacs di Hershell Gordon Lewis si spogliasse dell’ironia grottesca e, correndo in direzione di Midsommar di Ari Aster, incontrasse Le colline hanno gli occhi di Wes Craven: in un tripudio di violenza grafica e psicologica che corre sul filo dell’ambiguità morale verso l’affermazione di una società fondata sul sangue e sulle ossa che rivendica le proprie origini.

Wrong turn

Tra crani sfondati e corpi maciullati, Wrong Turn cerca atterraggio nella stessa direzione del già citato Le colline hanno gli occhi e il suo remake diretto da Aja, dando vita a un film che riesce con una certa efficacia a tenere unite diverse scuole di pensiero nell’ambito del cinema horror post-moderno.

Qua e là si chiede una massiccia sospensione dell’incredulità allo spettatore e le quasi due ore di durata forse sono eccessive per quello che il film vuole raccontare, ma nel complesso questo singolare reboot di Wrong Turn si può considerare un’operazione di “svecchiamento” riuscita anche se probabilmente deluderà molto i fan della saga originaria che si troveranno a guardare un film completamente differente da quello che si aspettavano.

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • Unisce con efficacia la brutalità del cinema horror anni ’70, a cui già Wrong Turn 2003 aspirava, con le connotazioni sociali del cinema più recente.
  • Svecchia una saga e la porta in una direzione inedita.
  • È scorretto verso il pubblico affezionato alla saga, che si troverà un film profondamente diverso da quello che potrebbe aspettarsi.
  • È richiesta una certa sospensione dell’incredulità.
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