Zero: Antonio Dikele Distefano e il cast raccontano la serie Netflix

Pochi giorni fa è arrivata su Netflix Zero, la nuova serie originale italiana nata da un’idea del giovane scrittore milanese Antonio Dikele Distefano, in cui si racconta la vita di un ragazzo della periferia di Milano, con genitori africani, che scopre di avere il potere dell’invisibilità e lo utilizza per difendere il suo quartiere e i suoi amici. Abbiamo partecipato all’incontro on line organizzato da Netflix con la stampa di settore dove era presente il ricchissimo cast, composto da Giuseppe Dave Seke, Beatrice Grannò, Haroun Fall, Richard Dylan Magon, Daniela Scattolin e Madior Fall, e lo stesso creatore della serie Antonio Dikele Distefano.

Ad aprire le danze è Antonio Dikele Distefano: “la cosa che conta di più è esistere e quando ho iniziato a lavorare a questa serie ho sentito dire spesso che non esistono attori o registi neri italiani. Ho dimostrato che ci sono attori neri, in futuro sicuramente ci saranno anche registi; bisogna coinvolgerli, è molto importante perché questa è la prima finestra per un futuro migliore. Però non bisogna pensare che questa è una serie per i ragazzi neri italiani, è una serie per tutti, al di là del colore della pelle, quindi vorrei che si parlasse di Omar, della sua passione per i fumetti, non del fatto che è nero. Il romanzo spinge alla riflessione, la serie invece è intrisa di molta leggerezza e penso che sia meglio perché ci troviamo in un periodo in cui c’è bisogno di sorridere”.

L’attore protagonista di Zero, Giuseppe Dave Seke, è un esordiente e ci racconta il suo personaggio e come è entrato a far parte di questo progetto.

A volte ci mettiamo paletti da soli e non riusciamo ad esprimerci, è quello che accade ad Omar ma quando ci rendiamo conto che il nostro potere ci può far fare cose grandi, allora possiamo guardare il mondo da un’altra prospettiva. Questa per me è la prima esperienza attoriale e all’inizio pensavo di non essere all’altezza, solo a dirlo tremavo, ma poi mi hanno fatto rendere conto che si può fare, basta credere in se stessi. Se fossi davvero invisibile mi prenderei tempo per me, staccare un attimo, riflettere. Da adolescente non riuscivo ad esprimermi al meglio e quindi desideravo di essere invisibile, solo il fatto di non essere capito, ascoltato, mi faceva sentire invisibile. Ma credo sia una condizione che tutti noi abbiamo vissuto nella vita.

Un mio amico mi ha girato questo post di Dikele in cui si cercavano attori di colore per una serie Netflix. Per me era una cosa assurda, ma mi sono lasciato convincere e ho mandato questo video messaggio. Il giorno del mio compleanno mi hanno risposto dicendomi che ero convocato a Milano per un provino. Per me solo il fatto di prendere un treno da Padova e andare a Milano a fare un provino per Netflix era una vittoria! La chiave è stata non crederci, così non sarei rimasto male in caso di esser scartato. Quando mi hanno scelto infatti, per qualche secondo, non ci ho creduto, poi “o mio Dio!”. Il cast è stato fantastico, erano tutti già avviati nel settore e tutti mi hanno aiutato, mi hanno dato supporto, ognuno a modo proprio. Il gruppo è stato incredibile, la cosa più bella che potesse capitarmi nella mia vita. Abbiamo passato tre mesi in un hotel, in piena pandemia, e abbiamo legato tantissimo, ogni giorno eravamo carichi e ci caricavamo a vicenda se eravamo giù.

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Antonio Dikele Distefano torna a parlare del progetto e da cosa è nato, ma soprattutto dell’abusato concetto di diversity.

Quando abbiamo iniziato a pensare a questa serie la prima cosa è stata: pensa ad avere un supereroe nero italiano! Io sono appassionato di anime e ci sono personaggi simili a Zero, tipo Mob Psycho100, però il modo in cui trattiamo l’invisibilità è ispirato a Ferro 3, il film di Kim Ki-duk, ma anche dall’esperienza personale visto che da bambino le mie scelte dipendevano dagli altri, vivevo la vita che gli altri volevano che vivessi e ho messo insieme le cose. La bicicletta è il mezzo che serve a Zero per spostarsi con facilità in una città caotica come Milano, quindi la scelta arriva prima del lockdown e non è legata alla professione del rider molto in voga oggi.

Molte serie italiane che abbiamo non raccontano il mondo che abbiamo attorno, così ho cercato di raccontare quello che vedevo ogni giorno a Milano. Con il lockdown la serie è migliorata perché si è creato un collante tra noi, ci sentivamo ogni giorno e abbiamo avuto più tempo per migliorare le cose.

Ancora oggi ci chiamano i “nuovi” italiani, io vivo da 28 anni in Italia, nuovo cosa? Il nostro Paese non è mai stato pronto al cambiamento, basta pensare anche ai mezzi di comunicazione che sembrano sempre stare un passo indietro. Io penso che le cose si possano cambiare attraverso il business: in One night in Miami il personaggio di Sam Cooke spiega a Malcom che un brano che sta andando forte in radio può cambiare la percezione che c’è dei neri, la loro inclusione. Le serie teen italiane di oggi non rappresentano l’Italia perché non ci sono ragazzi neri o ragazzi asiatici che, al contrario, non mancano di certo in ogni comitiva. Il termine diversity non mi piace, mi piace invece il termine normalità: Zero racconta la normalità non la diversità, la maggior parte delle domande che stiamo ricevendo è sul fatto che siamo neri ma io vorrei parlare della serie, di cosa fanno Omar e Sharif. Arrivati a quel punto vuol dire che abbiamo vinto, che siamo normali, non del fatto che siamo neri.

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Anche Giuseppe Dave Seke si inserisce nel discorso sulla cosiddetta “diversity”.

Zero è una grande opportunità per tutte le seconde generazioni e può dare spazio per le storie che devono essere raccontare, può essere un primo passo verso delle cose che in Italia oggi non vengono raccontare. Il web fa andare tutto più veloce, da 10 anni a questa parte tutto corre, lo vedo anche con i miei fratellini, tante cose non si possono fermare, oggi c’è Zero, ma se non ci fosse stato, ci sarebbe stato sicuramente qualcos’altro: è in atto una rivoluzione. Quando si sottolinea così tanto la diversity può avere un effetto negativo: la diversità non andrebbe mai enfatizzata. Quando tutto è più normale non ti poni il problema del colore della pelle.

Haroun Fall, che nella serie è Sharif il nuovo e inseparabile amico di Omar, prende la parola.

Credo sia fondamentale avere una letteratura cinematografica/televisiva nera perché manca una rappresentanza all’interno della tv italiane e del cinema. Io prima di Zero già lavoravo come attore ma era difficilissimo trovare dei ruoli, in Zero per la prima volta ho trovato personaggi normali e realistici che raccontano la nostra seconda generazione di neri italiani.

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Anche io lavoravo già – interviene Daniela Scattolin, che nel film è Sara, unica ragazza del gruppo del Barrio di Omar – nel mondo dello spettacolo ma è la prima volta che mi hanno assegnato un ruolo normale, di una ragazza come lo sono io nella vita reale. Io sono italiana e Sara è italiana”.

Poi prosegue, parlando nel dettaglio del suo personaggio e come lo ha affrontato.

Io ho sempre analizzato il mio personaggio come portatrice di esigenze: lei si sente innanzitutto responsabile di Momo, suo fratello e anima comica del team, e cerca di dominare all’interno del gruppo, di essere il leader silenzioso. In pratica, ne è la guida. Inizialmente non volevo interpretare Sara, avevo fatto il provino per sia per Anna (innamorata ricca di Omar) e Awa (sorellina di Omar); Sara non la sopportavo invece ora la adoro, ha una leadership nella storia, è la parte razionale e riflessiva del gruppo. Credo che il suo obiettivo però non sia solo salvare il Barrio ma favorire l’unione del gruppo; lei non ha mai avuto una famiglia e ama stare con gli altri.

L’ultima tra gli interpreti a prendere la parola è Beatrice Grannò, che nella serie interpreta Anna, la ragazza bianca e benestante che si inizia una relazione con Omar.

Anna, Sara e Awa sono tre diverse parti della femminilità. Io sono arrivata dopo nel cast e quando ho saputo che c’era un romanzo alla base di tutto l’ho subito letto e ho cercato di entrarci dentro per capire chi è questa Anna. Lei doveva incarnare una parte magica, doveva trasportare Omar in una fase sognante della sua vita, una parte molto femminile.

Se dovessi cercare un supereroe nella mia vita reale lo troverei nella mia mamma: è lei la mia supereroina! Per una ragazza è difficile crescere avendo modelli femminili, sono pochi, noi cresciamo più che altro con modelli maschili. Se dovessi cercare un’altra persona, al di fuori della famiglia, direi Amy Winehouse perché mi ha sempre ispirato con la sua musica.

A questo link potete leggere la nostra recensione della prima stagione di Zero.

A cura di Roberto Giacomelli

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