Assandira: tra noir e tragedia euripidea

Presentato fuori concorso alla 77ª Mostra del Cinema di Venezia, Assandira è il quinto lungometraggio del regista dorgalese Salvatore Mereu (Ballo a tre passi, Sonetàula, Tajabone, Bellas Mariposas) che ancora una volta ci trasporta in una Sardegna di fine millennio, tanto cruda quanto suggestiva.

Alla fine degli anni Novanta, il burbero Costantino Saru (Gavino Ledda) è un pastore di settant’anni che vive da solo in un non meglio specificato paesino della Sardegna; un giorno suo figlio Mario (Paolo Zucca), emigrato in Germania, torna con la moglie Grete (Anna König) e comunica al restio genitore di voler aprire un agriturismo tradizionale nel terreno dove loro hanno le stalle degli animali.  La coppia di giovani sostiene che i turisti del Nord Europa pagherebbero bene per poter conoscere le vecchie tradizioni pastorali sarde e a forza di insistere convincono il reticente vegliardo, inizialmente convinto del fatto che non ci fosse niente di bello nel mostrare a tutto il mondo la miseria in cui era cresciuto.

Grazie agli espedienti di Grete, l’attività dell’agriturismo diventa sempre più redditizia, tanto quanto il legame fra padre, figlio e nuora comincia a diventare sempre più stretto, sino al colpo di scena finale in cui si trasforma in una sorta di cappio che porta alla tragedia.

Assandira

Vediamo la trama svolgersi lungo due linee temporali e due tipologie narrative diverse: nella prima parte della pellicola prevale l’intreccio noir, infatti assistiamo all’incendio dell’agriturismo Assandira e alla morte di Mario, in seguito alla quale cominciano le indagini dell’ispettore di polizia (Corrado Giannetti) e le relative domande sulla nascita dell’attività che portano a galla anche l’intreccio psicologico e la sottotrama drammatica.

Ma Assandira è molto di più di un noir, di un dramma e di un racconto introspettivo, la pellicola in realtà ruota attorno a grandi dilemmi morali: esiste un limite a ciò che si può fare per amore del proprio figlio? Sino a dove ci si può spingere per avere ciò che si desidera?

La regia gioca bene queste “carte filosofiche” e giostra i dialoghi in modo che, a seconda dell’inconscia presa di posizione dello spettatore, alcuni personaggi possano sembrare contorti, addirittura subdoli, o spontanei allo stesso tempo.

Assandira

Godersi la visione di questa pellicola potrebbe risultare un po’ ostico per un pubblico che non è sardo, innanzitutto per via della presenza dei sottotitoli (la maggior parte dei dialoghi avviene in dialetto nuorese-logudorese) ma anche per via della caratterizzazione dei personaggi che presenta alcuni tratti antropologici, la rudezza e la poca loquacità, tipici del contesto a cui appartengono.

La produzione ha senza dubbio tenuto in considerazione questa diversità culturale, perciò vediamo un magistrale uso degli effetti visivi, qui adoperati come espediente narrativo per portare a galla i sentimenti dei personaggi: ad esempio,  nelle primissime scene, il dolore struggente del padre che ha perso il proprio figlio è reso con una fotografia oscura, delle inquadrature fatte con la macchina “a spalla” e una definizione delle immagini volutamente naturale, in modo che lo sguardo dello spettatore possa quasi confondersi con quello di un personaggio qualunque capitato per caso sulla scena della tragedia; nei momenti più “bucolici” invece una luce limpida si sofferma sui volti ambiziosi di Grete e del marito, nonché nella facce estasiate degli avventori stranieri che si ritrovano catapultati in una scenografia campestre di autentica bellezza.

Assandira

Sempre dal punto di vista visivo, un simbolismo di discreto spessore ricorre costantemente nella successione delle scene: la telecamera e i dialoghi si soffermano sempre sulle carni arrostite e sul fuoco – a presagio di sventura -, sull’acqua (pioggia, vasche della piscina) che spesso “diluisce” la tensione in momenti di caduca spensieratezza, su animali esotici come gli struzzi, che servono a idealizzare, e anche a suggerire, l’esoticità di Assandira.

Da cornice a tutto ciò non manca neanche l’erotismo che, come il vecchissimo canovaccio di Eros e Thanatos, è quasi una chiave di volta sia nello svolgersi della trama ma anche uno spartiacque nel comprendere l’incolmabile, e per questo fascinosa, diversità che caratterizza le culture contemporanee. Per quanto riguarda gli interpreti sappiamo che Gavino Ledda e il suo peso culturale per la Sardegna è una figura molto ingombrante, la sua stessa presenza basta e avanza per dare al personaggio di Costantino quella sacra ponderatezza che la regia sperava, ma non bisogna dimenticare che il personaggio più contorto e forse meglio riuscito è quello di Grete, con una Anna König (la serie di Netflix Dark) seducente e ammaliatrice.

Assandira

Come fu al tempo del successo di Ballo a tre passi del 2003, senza dubbio le critiche alla pellicola da parte dei sardi stessi e degli spettatori della Penisola non mancheranno di certo, più “pesante” dell’apprezzamento della tecnica cinematografica c’è sempre il timore che le intenzioni di creare un quadro veritiero o romanzato di alcuni episodi “scandalistici” della cronaca sarda possa diffondere l’ennesimo ritratto bruttamente stereotipato dell’Isola, ma gli spettatori più attenti sapranno di certo contestualizzare il tutto.

Ilaria Condemi de Felice

PRO CONTRO
  • Tecnica registica.
  • Scenografia.
  • Anna Konig poliedrica.
  • Diversità culturale.
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3 Responses to Assandira: tra noir e tragedia euripidea

  1. rossella ha detto:

    Non potevano essere usate parole migliori per descrivere l’ indescrivibile…..complimenti Ilaria!

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  2. rossella ha detto:

    Non potevi usare parole migliori per descrivere l’indescrivibile….brava Ilaria!

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  3. sebastiano ha detto:

    Sempre efficacissima Ilaria, il regista ringrazia, andremo a vederlo.

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