Honey Boy, la recensione

Classe 1986, Shia LaBeouf ha iniziato all’età di 12 anni a lavorare attivamente nel mondo dello spettacolo, prima in tv, poi al cinema a partire dal 2003, quando in breve tempo è diventato il beniamino di molte majors, partecipando a blockbuster del calibro di Charlie’s Angels, Io, Robot, Transformers, Indiana Jones e il regno del teschio di cristallo, Wall Street – Il denaro non dorme mai. Ma la vita di questo ragazzo di origini cajun non è stata tutta rose e fiori e come spesso accade alle baby star, ha avuto un’adolescenza scandita da vizi e un successo incontrollato che lo hanno portato spesso a confrontarsi con le forze dell’ordine e a una dipendenza dall’alcool che gli ha quasi compromesso la carriera.

Ma a differenza di molti altri colleghi, Shia LaBeouf non è figlio di genitori facoltosi che hanno coccolato la sua ascesa nell’entertainment ma – come lui stesso ha dichiarato – sua madre e suo padre erano una sorta di hippie ed è stato il suo lavoro come star della tv a mantenerli, o meglio, a mantenere suo padre Jeffrey, visto che sua madre – dopo una relazione turbolenta – ha chiesto il divorzio ed è andata via. Il piccolo Shia, dunque, ha passato la sua adolescenza in compagnia di un genitore dedito all’eroina e all’alcool, che ha seguito i suoi studi e la sua carriera cine-televisiva in maniera altalenante con lo scopo principale del proprio tornaconto economico. Almeno questo è quanto apprendiamo da Honey Boy, il film d’esordio di Alma Har’el scritto proprio da Shia LaBeouf basandosi sulla sua stessa infanzia. Un anomalo biopic che ha funzionato per l’attore da terapia durante il periodo di riabilitazione in seguito all’ennesimo arresto per rissa, quando l’abuso di alcool lo stava facendo somigliare troppo al suo odiato/amato genitore. Uno stralcio di vita che si trasforma nella storia di un bambino che non può vivere la sua infanzia, impegnato paradossalmente ad occuparsi di suo padre e reggere le sorti economiche della sua disastrata famiglia.

Honey Boy

Intenti nobili che fanno di Honey Boy un film piuttosto singolare, ma che non si traducono fondamentalmente in un film pienamente riuscito.

Presentato al Sundance Film Festival e a Toronto nel 2019, Honey Boy alterna due linee temporali, quella in cui Otis, alter ego di Shia LaBeouf, è un ragazzo ventenne reduce dal set di un film di fantascienza/azione (chiaramente Transformers) e ha il volto di Lucas Hedges (Manchester by the Sea, Ben is Back) e quella in cui ha 12 anni, è interpretato da Noah Jupe (Wonder, A Quiet Place), e trascorre le sue giornate tra il lavoro in tv e un padre ex-pagliaccio che lo fa vivere in un motel e abusa psicologicamente di lui. La cosa emblematica è che a dar forma al padre/orco è lo stesso Shia LaBeouf in un’interpretazione molto intensa ma debilitata da un trucco non troppo convincente.

Honey Boy

Privo di ritmo, Honey Boy ci immerge senza troppo trasporto nella vita di questo ragazzino che fa di tutto per tenere ben saldo l’equilibrio mentale nonostante un pessimo genitore. Durante i 95 minuti di durata ci si affeziona al piccolo Otis, anche perché il giovane Noah Jupe è molto bravo, ma non si riesce mai davvero a entrare nella storia, a causa di una narrazione ripetitiva, piatta e parca di eventi che ci possano ricordare che siamo comunque difronte a un’opera di intrattenimento. Per di più, l’israeliana Alma Har’el, che viene dal mondo dei videoclip musicali, non dona al film alcuno stile particolare e si limita a raccontare in modo molto ordinario ciò che è scritto sulla sceneggiatura.

Honey Boy è proprio un film fin troppo ordinario che si adagia su certo cinema indie americano tipico della selezione da Sundance di alcuni anni fa, che ha di stra-ordinario giusto il suo essere un biopic terapeutico.

Honey Boy

A fine visione si riamane un po’ interdetti perché si può comprendere cosa rappresenti questa opera per il suo sceneggiatore e interprete, che ha voluto così urlare al mondo quello che aveva dentro, sfogare la sua rabbia per un’infanzia non vissuta, per un genitore irresponsabile, ma allo stesso tempo allo spettatore rimane un film aleatorio, privo di quella profondità che avrebbe potuto avere, distante anni luce dal concetto di intrattenimento e anche lontano da una visione autoriale.

Dunque, cos’è Honey Boy se non una pagina del diario personale di Shia LaBeouf?

Honey Boy sarebbe dovuto uscire al cinema il 5 marzo distribuito da Adler Entertainment ma l’emergenza sanitaria da nuovo coronavirus ha cambiato i piani e la distribuzione ha optato per il rilascio sulle maggiori piattaforme VOD.

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • Shia LaBeouf e Noah Jupe sono molto bravi.
  • La natura dell’opera è singolare e ne fa un caso unico nell’ambiente cinematografico.
  • È un film non-film perché non racconta una storia in senso stretto del termine, non fa riflettere, non intrattiene, non ha neanche uno stile autoriale ben preciso… è solo uno sfogo personale di Shia LaBeouf.
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Valutazione: 5.0/10 (su un totale di 1 voto)
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