Il Principe di Melchiorre Gioia – Una storia inutile, la recensione

Il sottotitolo del quarto lungometraggio scritto e diretto da Andrea Castoldi recita “Una storia inutile”. Ma quando una storia può essere definita realmente utile? Sicuramente finiremmo in un cul de sac provando a trovare una risposta, quindi possiamo limitarci a rititolare il film in questione come Il Principe di Melchiorre Gioia Una storia UTILE. Ma utile a chi? Sicuramente a ridefinire l’ego di molte persone, di possibili spettatori che venendo a conoscenza delle vicende del Principe possono confrontarsi con un protagonista talmente umano da apparire disumano.

A cavallo tra due epoche – il 1998 e i giorni nostri – Il Principe di Melchiorre Gioia racconta la vita di un perdigiorno conosciuto da tutti come il “Principe”, un trentenne che vive con la nonna come fosse un eterno adolescente e ogni notte diventa il sovrano della vita notturna di via Melchiorre Gioia, zona che collega il centro di Milano con la periferia. Pelliccia finta, capello ossigenato e occhiali gialli rigorosamente in plastica, il Principe si accompagna a prostitute e travestiti primeggiando nei più economici locali della “Milano by night”. Nel presente, però, il Principe cinquantenne trascorre una vita mesta, nel ricordo del suo passato, di un amore finito e di troppe scelte sbagliate che lo hanno portato a un’esistenza disastrata e senza ambizioni.

Il Principe è in ognuno di noi. Se immaginassimo la nostra vita come la stanza delle emozioni di Inside Out, il Principe sarebbe lì, in un angolino pronto a rispondere “Che cazzo vuoi? Che cazzo guardi?”. Un personaggio che è quasi archetipo del fancazzista ma che, incredibilmente, nasce da una storia vera. Il Principe è esistito o esiste da qualche parte nei dintorni di Milano, è una vecchia conoscenza del regista, un amico di scorribande che col tempo ha perso di vista. Partendo, dunque, da questo personaggio reale, dietro sua stessa ammissione, Andrea Castoldi ha voluto omaggiare i perdenti e tutti quelli che ci provano senza mai riuscirci. “Mi ha sempre affascinato il suo attaccamento alla sconfitta, il suo saper posizionarsi qualche metro più in là da una società che si muove dentro a delle consolidate regole – ha dichiarato Castoldi – Il Principe e con se gli altri personaggi non vogliono evolvere e restano coerenti al loro essere dei simpatici perdenti”.

A dar corpo al Principe abbiamo Silvio Cavallo, attore comico frequentatore dello Zelig televisivo e finalista dell’edizione 2020 di Italia’s got Talent, una scelta sicuramente molto azzeccata per ritrarre questo personaggio in bilico tra comico e tragico, così grottesco, eccessivo e repellente nel modo di fare e nel look da lasciare sicuramente il segno.

Il Principe di Silvio Cavallo è un uomo antipaticissimo, pronto a insultare il prossimo in ogni occasione ponendosi superiore a chiunque, ma ci vogliono due secondi a smascherarlo, a capire che dietro quel pellicciotto comprato con la liquidazione del lavoro e quell’atteggiamento costantemente sulla difensiva c’è una persona ancora alla ricerca di un’identità. Lui è quanto di più “sbagliato” ci possa essere per i canoni sociali, apparentemente ne va fiero, ma il ricordo di Lucia, di questo amore finito senza apparente motivo, di una musicassetta che funge da proustiana magdalene, scardinano le certezze fieramente fancazziste del Principe. E infatti, nel presente, troviamo un uomo apatico, rassegnato a vivere una vita senza alcuna ambizione, a dar lezioni “di lavoro” a una ragazza indicandole il modo più semplice per arrivare a fine turno. Il Principe è il simbolo di chi non ce l’ha fatta perché non ci ha nemmeno provato, quel Peter Pan che non vola non per incapacità ma per accidia.

Il Principe di Melchiorre Gioia paga un po’ lo scotto di essere davvero una piccola produzione indipendente. Girato in tre settimane tra Milano e Gallarate, il film adotta una serie di espedienti per mascherare gli esigui mezzi, a cominciare dalla prevalenza del racconto negli anni ’90, storicamente ovviato dal ricorso a molti interni e a campi medi e stretti per non incorrere in impasse anacronistici. È stato anche adottato un espediente per differenziare la fotografia tra le due epoche: c’è più vigore e saturazione nelle scene ambientate nel ’98, rendendo le immagini ricche di colori accesi e contrasti decisi, mentre il presente ha una fotografia spenta, triste e apatica come la situazione che ritrae. Un modo sicuramente ingegnoso per fare di necessità virtù e conferire dinamicità a una realtà che sarebbe potuta essere penalizzata dalla mancanza di mezzi. Qua e là si nota la povertà del contesto, così come non convince a pieno la direzione degli attori – poco unitaria tanto che si ha l’impressione che si improvvisi spesso – così come l’andamento narrativo privo di una struttura, una scelta che alla lunga può risultare pesante per lo spettatore.

Il Principe di Melchiorre Gioia – Una storia inutile è arrivato nei cinema a fine ottobre percorrendo, a partire da Milano, lo Stivale con un tour distributivo di città in città.

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • Il personaggio del Principe, così sopra le righe che è impossibile non volergli bene.
  • Nonostante gli sforzi per mascherarlo, in più occasioni si nota la povertà produttiva dietro l’intero film.
  • La mancanza di un vero sviluppo narrativo può allontanare lo spettatore.
  • Si ha l’impressione che a livello di recitazione ci siamo molta improvvisazione.
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