La corrispondenza, la recensione

Dopo l’ottima prova data due anni fa con La migliore offerta, Giuseppe Tornatore si affida di nuovo a un cast internazionale per affrontare un’altra storia che mescola il linguaggio del thriller con le suggestioni del cinema melò. Però, a differenza del film con protagonista Geoffrey Rush, La corrispondenza non colpisce, anzi risulta un clamoroso buco nell’acqua, un pesante tonfo qualitativo nella carriera del regista di Nuovo Cinema Paradiso.

La storia parte da un presupposto intrigantissimo: Amy è una studentessa ma di professione fa la stuntwoman. La ragazza ha una relazione segreta con il professore di astrofisica Ed, con il quale intrattiene una intensa corrispondenza fatta di mail, video chiamate e messaggi sul cellulare. Un giorno le chiamate su Skype vengono sostituite dalle sole email e Amy apprende una notizia sconvolgente su Ed. Da questo momento Amy sprofonda in un baratro che inizialmente sembra volerla condurre alla follia, poi pian piano, tutto assume un tono di normalità che toglie tanto mordente alla vicenda.

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Chi si aspetta un thriller sorprendente come La migliore offerta rimarrà molto deluso, anche le atmosfere morbose di La sconosciuta qui non sono contemplate, piuttosto Tornatore – che è anche autore di soggetto e sceneggiatura – sceglie un taglio che si adagia via via sempre più sul sentimentale descrivendo una relazione “proibita” che dimostra essere l’emblema del vero amore.

La corrispondenza, che paga più di un debito d’affinità con il film americano P.S. I Love You, ha sicuramente delle buone frecce al suo arco, a cominciare dalla costruzione della corrispondenza che ha le fattezze di un gioco ad incastro che riesce a tenere desto l’interesse, per quanto sia comunque altamente implausibile. Il piano ordito da Ed, infatti, nella realtà non sarebbe così infallibile come il film vorrebbe farci credere, anzi, una volta innescato un meccanismo (non vi diciamo quale) ha talmente tante possibilità di non andare a buon fine che la sospensione dell’incredulità davvero fatica a reggere.

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Una tematica molto interessante che Tornatore riesce a far emergere è quella della corrispondenza che da titolo al film. Come dicevamo non c’è nulla di nuovo, ma la sinergia tra tecnologie e metodi comunicativi mostrati può essere anche letta come una immortalità dell’individuo che riesce a sopravvivere proprio grazie alla tecnologia. Un inno alla tecnologia, che ci dà la possibilità di dire e fare anche quello che il tempo biologico ci nega. Uno sguardo positivo sulla tematica che va quasi a scontrarsi con la visione pessimista/distopica di molto cinema fantascientifico, solitamente ammonitore di nefasti presagi legati alla pervasività tecnologica.

Però le (poche) cose buone di La corrispondenza sono avallate da una sceneggiatura che si fa ricordare in negativo. Alla poca plausibilità dell’intreccio si aggiungono una serie di dialoghi mal scritti, spesso anche mal recitati (qui molto influisce il pessimo doppiaggio italiano degli attori nostrani che hanno recitato in inglese), che spesso sembrano messi in bocca agli attori solo per creare scene che servono a guadagnar tempo. Poi ci sono spesso quelle fastidiose euristiche di scrittura che servono a trovare una soluzione alle problematiche narrative in maniera facile e poco felice. Un esempio? La protagonista deve recuperare delle registrazioni danneggiate e, guarda caso, il suo migliore amico è un tecnico informatico… ma visto che sono proprio tanto danneggiate, riguarda caso, l’amico ha un amico che lavora per i servizi segreti e allora il problema è facilmente risolto.

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Un’altra infelice scelta è rappresentata dal modo in cui Tornatore ha deciso di mostrare la professione della protagonista. Amy è una stunt, fa la controfigura nelle scene d’azione più pericolose, ma il modo in cui sono messe in scena le sue performance sono del tutto fuori dalla realtà! Ok che gli stunt rischiano la vita, ma Tornatore ci fa vedere cose che non solo oggi non si fanno più (c’è la post-produzione con effetti digitali!), ma che in tale modo non si facevano neanche negli anni 70 e 80!

Nel cast tutta l’attenzione se la addossa la brava Olga Kurylenko che riesce davvero a reggere da sola l’intero film. Jeremy Irons, invece, compare “dal vivo” un minuto scarso, relegato poi sempre al mezzo busto e ai primi piani delle sue registrazioni video, in puro stile Jigsaw. Tutto il resto non conta e se Paolo Calabrese nel ruolo del barcaiolo ritardato è ridicolo, tutti gli altri recitano semplicemente male.

Colonna sonora di Ennio Morricone che sembra voler imitare Angelo Badalamenti.

Occasione sprecata…

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • Olga Kurylenko riesce a reggere con sufficiente bravura l’intero film sulle sue spalle.
  • Parte da un buono spunto e riesce a risultare avvincente.
  • Il buono spunto di partenza è tradito presto…
  • È praticamente il remake italiano di P.S. I Love You.
  • Sceneggiatura disastrosa.
  • Cast di contorno di livello molto basso.
  • Rappresentare il mestiere dello stunt così… vabbè.
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Valutazione: 5.0/10 (su un totale di 1 voto)
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La corrispondenza, la recensione, 5.0 out of 10 based on 1 rating

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