Le ereditiere, la recensione

Chela (Ana Brun) e Chiquita (Margarita Irun) sono le eredi di due ex-facoltose famiglie paraguayane. Le due donne abitano insieme da diverso tempo, durante il quale hanno contato su una discreta somma ormai agli sgoccioli: per far fronte all’emergenza, Chiquita le pensa tutte, fino a compiere una frode che la spedisce in carcere. A quel punto Chela, rimasta sola, dovrà fare i conti con un’indipendenza che non sa bene come gestire.

La prima scena de Le ereditiere di Marcelo Martinessi ci suggerisce già molto sulla poetica generale del film: la macchina da presa, nascosta dietro una porta semiaperta, ci mostra Chiquita che tenta di sbolognare alcune suppellettili a una possibile acquirente. Poco dopo ci accorgiamo che non si tratta di un’inquadratura impersonale ma di una soggettiva di Chela, la quale, come vedremo ancora nel corso del film, ha sempre sbirciato la vita da dietro una porta, senza mai entrarci dentro veramente. Le sue giornate si svolgono nel perimetro della casa e dell’immancabile vassoio che Chiquita le prepara con cura, disponendo in un ordine quasi maniacale i vari oggetti che vi albergano sopra.

L’impulso che spinge Chela a spiare non vista ne denota anche un tratto infantile nel carattere, e in effetti il suo personaggio, complice l’estrema bravura dell’interprete Ana Brun (Orso d’Argento per la miglior attrice alla scorsa Berlinale), ricorda proprio una ragazzina intrappolata nel corpo di una donna anziana, come se fosse rimasta ancora agli anni in cui apparteneva a una delle famiglie bene della città. Per questo motivo Le ereditiere si può associare al filone cinematografico del coming-of-age, in cui solitamente un giovane o una giovane si approcciano alle croci e alle delizie dell’età adulta; in fondo è quello che accade anche a Chela, indirizzata in questo percorso grazie all’allontanamento di Chiquita e alla conoscenza con l’enigmatica Angy.

Passando dall’altro lato dello schermo, si nota che lo spettatore stesso si ritrova a sbirciare il film dal buco della serratura: in più di una scena Martinessi decide di non portarlo nel luogo dell’azione, posizionando la macchina da presa al di fuori di esso. Tuttavia questa scelta, al di là della valenza registica, simboleggia anche ciò che non funziona de Le ereditiere, dato che l’impressione finale che se ne ricava è di aver visto un’opera a metà, qualcosa di ben confezionato ma che sostanzialmente lascia a bocca asciutta. I retroscena che Martinessi ci lascia intravedere sono intriganti, e proprio in virtù di questo avremmo voluto approfondirli; si avverte, insomma, la mancanza di un contesto più ricco, in cui avrebbe figurato degnamente qualche ulteriore accenno alla storia delle famiglie di Chela e Chiquita, o alle dinamiche sociali paraguayane.

Giulia Sinceri

PRO CONTRO
Un coming-of-age singolare con buone intuizioni registiche. Più forma che sostanza.

 

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Valutazione: 7.0/10 (su un totale di 1 voto)
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Le ereditiere, la recensione, 7.0 out of 10 based on 1 rating

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