TFF37. True History of the Kelly Gang

Se ne parlava per una possibile partecipazione a qualche festival, prima per Cannes poi per Venezia, invece niente. Per un po’ se ne sono perse le tracce, poi eccolo qui al Torino Film Festival 2019 nella sezione Festa Mobile. Il lungometraggio in questione è True History of the Kelly Gang e a dirigerlo è l’australiano Justin Kurzel, un regista noto per i suoi progetti spesso ambiziosi ma dai risultati disastrosi (alle spalle un non entusiasmante Macbeth e un terribile Assassin’s Creed). Passate le produzioni britanniche e statunitensi, Kurzel torna nella natia Australia per misurarsi con una leggendaria figura della sua terra: il criminale Ned Kelly, già trasposto sul grande schermo da Tony Richardson nel 1970 e da Gregor Jordan nel 2003.

Questa volta rinuncia anche al suo attore preferito, Michael Fassbender. Poco male. Il cast è comunque altisonante e, da questo punto di vista, il regista sembrerebbe aver fatto le scelte giuste, a cominciare da un Russell Crowe fiero “panzone” in versione di rude assassino. Accanto a lui troviamo Charlie Hunnam (Sons of Anarchy), Essie Davis (la bionda protagonista dell’horror di Jennifer Kent Babadook), Nicholas Hoult e la giovane promessa di Senza lasciare traccia Thomasin McKenzie. Il ruolo di Ned Kelly è invece interpretato da Orlando Schwerdt (bambino) e George MacKay (adulto).

Basato su un romanzo di Peter Carey, True History of the Kelly Gang segue le vicissitudini del leggendario fuorilegge australiano, dalla prima infanzia, traumatica e povera, sotto l’ala di una madre amorevole ma instabile, fino alla formazione della sua banda.

Sul piano della trama, il film non presenta particolari innovazioni, in compenso vengono esplorate molto le relazioni familiari e l’impatto che queste ultime hanno avuto sulle sue scelte di vita. Almeno questo è quanto avviene nella prima parte, perché poi il racconto diventa meno fluido e più stanco, perfino dispersivo e in alcuni punti affrettato.

Al netto di una scrittura non proprio eclatante, in cui gli ultimi dialoghi risultano alquanto banali, il film ha un’estetica abbastanza interessante. In particolare, il regista si riallaccia a quanto fatto nei suoi lavori precedenti. Quindi via di tono solenne e atmosfere cupe, che funzionano a meraviglia e calzano perfettamente con lo spirito del film, a metà strada tra il biopic e il western. Anzi, talvolta si ha pure la sensazione che queste aggiungano qualcosa di più ai rapporti tra i personaggi, come risulta evidente soprattutto nella scena che vede l’incontro tra il protagonista e il viscido poliziotto Fitzpatrick. Curiosamente però l’autore della fotografia non è questa volta il sempre fedele Adam Arkapaw, che sarebbe stato indubbiamente a suo agio in questo contesto, bensì Ari Wegner.

Una menzione speciale va inoltre ai silenzi che costellano i diversi momenti di pathos della narrazione, che risultano leggeri e sempre indovinati e che si sposano perfettamente con le scelte estetiche.

Il problema principale di True History of the Kelly Gang è innanzitutto in una differenza abissale tra un’apertura con i fuochi e una risoluzione alquanto inconsistente. In secondo luogo, si ha la sensazione che Kurzel si sia troppo affidato alla performance dei suoi attori mostrando un eccesso di fiducia in un protagonista talvolta sopra le righe e per la maggior parte del tempo taciturno e impenetrabile.

I personaggi secondari sono però di gran lunga più interessanti e regalano momenti particolarmente decisivi per la comprensione del giovane Ned, senza contare che sono resi da interpreti di grido. Pensiamo innanzitutto a Russel Crowe e al suo Harry Power, ovvero colui che fa scoprire la brutalità dell’assassinio al piccolo Ned. I due caratteri vengono riuniti con quello del Sergente O’Neil in una scena abbastanza centrale del film. Una classica situazione western in cui più personaggi impugnano la pistola che ci dà la sensazione che comunque andrà a finire, sarà un evento che segnerà in maniera indelebile il giovane protagonista. Invece gli effetti di questa scena vengono sottovalutati e tutto quello che segue di fatto costituisce una narrazione a sé.

Il personaggio più interessante è però quello di Ellen Kelly, la madre di Ned, una donna dalla tempra ferrea che viene ben impersonata da una Essie Davis che buca lo schermo in un minutaggio abbastanza limitato. Anche qui però manca un approfondimento della sua figura, che da iniziale spirito libero ci viene infine ripresentata in versione quasi stereotipata, il tutto senza neanche spiegarne le ragioni.

Le dense atmosfere del film finiscono inoltre per lasciare inesplorate le non poche tematiche che la sceneggiatura di Shaun Grant. A salvare il film sono stranamente più i momenti archetipici del genere, che, per quanto non brillino di originalità, fanno bene il loro lavoro. Il risultato è quindi godibile ma privo di malto.

Claudio Rugiero

PRO CONTRO
  • Un primo atto decisamente accattivante che fa ben sperare.
  • Una discreta gestazione del genere, sebbene incentrata nei momenti più sicuri a livello di scrittura.
  • La scrittura è alquanto debole e oscilla tra momenti di forte pathos e altri dove regna il vuoto assoluto.
  • Troppi attori in ruoli indovinati ma abbastanza sprecati. Ad alcuni personaggi è affidato un compito davvero esiguo.
  • Negli ultimi venti minuti c’è qualcosa che non va sotto diversi punti di vista: di coerenza stilistica, di arco del personaggio e perfino di chiarezza narrativa.
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