Weekend, la recensione

Dopo il meritato successo critico del bellissimo 45 Anni, arriva nelle sale il film precedente di Andrew Haigh, Weekend. Altro film eminentemente temporale, si assiste non a una storia consolidata da quasi mezzo secolo, bensì alla sua – stentata – nascita.

In appena due giorni, la durata appunto di un weekend, Glen (Chris New) e Russell (Tom Cullen) si conoscono e iniziano a frequentarsi. Ma il loro è un incontro segnato fin dall’inizio: infatti Glen la domenica stessa si trasferirà negli Stati Uniti. Fra feste, luna park e addii, prende avvio non soltanto la storia d’amore fra i due ragazzi, ma anche la loro crescita. Infatti, mentre Russell vive con difficoltà la propria omosessualità, accettata ma non comunicata, Glen, molto più a suo agio con la sua sessualità, rifiuta ogni relazione seria.

È proprio su questo punto che s’innesta una delle scelte più felici di Haigh: prendere l’impostazione da tipica storia romantica e modificarla secondo la propria visione. La conoscenza, gli amici, il luna park come posto intimo e giocoso, la dichiarazione d’amore. Non a caso, Glen chiede, verso la fine del film, se quello sarà il loro Notting Hill (dal famoso film con Hugh Grant). A questo lavoro di destrutturazione, Haigh aggiunge un discorso parallelo riguardo la rappresentazione dell’amore, cinematograficamente e più in generale culturalmente.

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Le tappe che segue Weekend sono infatti le canoniche, quasi necessarie, di ogni film d’amore eterosessuale. Solo che questa volta sono due uomini a viverle. Al personaggio di Glen, artista in nuce, spettano spesso i dialoghi-manifesto di questo aspetto: dar voce a un tipo di storia, quella omosessuale, per troppo tempo ignorata, bombardati come siamo da quelle dell’amore eterosessuale (per tutto il film, siamo riempiti di aneddoti sessuali, più o meno espliciti). Weekend, quindi, si appropria del canovaccio di queste storie e lo fa proprio.

Ma sarebbe sbagliato vedere Weekend come film unicamente metacinematografico. L’incontro e la passione fra Glen e Russell è palpitante e trasuda umanità. Ha la stessa importanza, nell’economia del film, del discorso omosessuale. Infatti, se Glen è l’anima più politica, Russell è quella più emotiva, con la sua lotta per l’accettazione definitiva di se stesso. Grazie all’incontro con la sessualità più libera e, probabilmente, pacifica di Glenn, Russell cercherà di definire nuovamente se stesso e i propri confini. Inoltre,la scelta di concentrare tutta la storia nell’arco di appena un fine settimana conferisce a questo incontro un tocco di malinconia e struggimento palpabile. Glen e Russell si sono appena conosciuti e già si stanno dicendo addio.

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A tenere insieme queste due anime – politica ed emotiva -, riuscendo a creare un unicum mai separato, ma che anzi si intreccia e rinforza costantemente, è la capacità di Andrew Haigh. Con una regia estremamente naturale, spesso che sbircia, a distanza, dietro dei giacconi o degli ostacoli, si entra in punta di piedi nelle loro vite. Si ha l’impressione di star sbirciando la realtà. Emblematica è la prima inquadratura, con Russell nella doccia a lavarsi le parti intime. Altra stoccata alla tipica rappresentazione mainstream del discorso amoroso.

Weekend, proprio come 45 anni, è un film piccolo, ma profondamente umano e che difficilmente cede a compromessi. In questo caso le aspettative di un pubblico più mainstream, con la propria poetica anti-sensazionalista, e quelle di un pubblico più smaliziato (se non, apertamente cinico), cercando di evitare ogni dramma fine a se stesso. Fondamentalmente, un film malinconico, dolce e intelligente.

Samuele Petrangeli

PRO CONTRO
  • La regia personalissima di Haigh.
  • La scelta di creare un discorso amoroso differente.
  • L’estrema umanità della storia.
  • Il minimalismo della messa in scena (che potrebbe allontanare certo pubblico.
  • Ritmo lento (che anche questo potrebbe scoraggiare).

 

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Valutazione: 8.0/10 (su un totale di 1 voto)
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