Zero, il (super)potere degli invisibili

Il 21 aprile arriva su Netflix Zero, la nuova serie originale italiana che prende ispirazione da Non ho mai avuto la mia età, quarto romanzo del giovane scrittore Antonio Dikele Distefano. La prima stagione della serie, strutturata in 8 episodi da circa 25 minuti l’uno, racconta la storia di Omar, detto Zero, giovane italiano di seconda generazione ma di origini africane che vive nel Barrio (la Barona), estrema periferia sud di Milano, e coltiva la passione per i fumetti, che si diletta a disegnare.

Timido, introverso e con un rapporto conflittuale con il padre, che incolpa per il fatto di essere cresciuto senza la madre, Omar scopre fortuitamente che in condizioni di forte stress emotivo riesce a diventare invisibile. Grazie a questa sua facoltà straordinaria, aiutato dagli amici di quartiere, cercherà di porre fine al piano speculativo di un’azienda edilizia che sta tentando di sfrattare gli abitanti del Barrio per un’operazione di riqualificazione del territorio. Ma nella vita di Omar, oltre alla storia con Anna, ragazza bianca dei quartieri più “in” di Milano, si affaccia anche l’ombra del passato.

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Pensata per un pubblico adolescenziale, come praticamente tutte le serie italiane originali Netflix, Zero ha la particolarità di abbracciare anche tematiche appartenenti al mondo del fantastico, nello specifico superoistiche. Come Susan Storm dei Fantastici4, Omar ha la facoltà di diventare invisibile e la prima stagione di Zero è proprio una origin story che ci racconta l’approccio del ragazzo al suo straordinario potere, tra nuove alleanze (i ragazzi del quartiere capeggiati da Sharif, che inizialmente gli sono ostili) e la scoperta di veri e propri villain che minacciano il quieto vivere degli abitanti del Barrio.

Ovviamente, l’avventura di Omar non può essere una passeggiata ma la serie ideata dal talentuoso Antonio Dikele Distefano e curata da Menotti (ex fumettista e co-sceneggiatore di Lo chiamavano Jeeg Robot, Benedetta follia e Non ci resta che il crimine) ha delle sfumature leggerissime, quasi fiabesche, e si abbandona a un ottimismo che si traduce in una generale joie de vivre.

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Come è facile immaginare, l’invisibilità non è solo un superpotere ma anche una chiara metafora dell’esistenza di Omar, un ragazzo di periferia che contribuisce all’economia familiare facendo il rider e ha il sogno di sfondare come fumettista. Una ragazza? Neanche a parlarne. Amici? Solitario come un coyote. È un “invisibile”, un ragazzo come tanti che fantastica una realtà migliore ma deve accontentarsi di quello che ha, cioè poco. Ed è proprio il materializzarsi in superpotere di questa sua peculiarità che cambia le carte in tavola e lo fa diventare popolare, un eroe.

L’idea che sta dietro a Zero è carina, accattivante anche se sicuramente sa di già visto, però ha il vantaggio di appartenere a una serie italiana, quindi inserita in un contesto che non è di certo celebre per questo genere e, paradossalmente, può essere vista come una “novità”. Però, guardando Zero, si ha costantemente l’impressione dell’occasione sprecata.

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Venticinque minuti ad episodio e solo otto episodi a disposizione, per questo tipo di storia, sono davvero pochi e infatti il racconto corre: tutto è frettoloso, superficiale, a volte anche abbandonato al caso con risultati involontariamente ridicoli (si guardi il quarto episodio, come Zero e i suoi amici arrivano a scoprire l’identità di un malvivente: viene infranto proprio l’ABC dello storytelling!). Ma la sceneggiatura – a cura di Massimo Vavassori – ha seri problemi anche nella caratterizzazione dei personaggi e nei dialoghi perché, al di fuori di Zero, che è un gran bel personaggio, tutti gli altri rispondono semplicemente a degli stereotipi da college-movie anni ’80; inoltre, i ragazzi si esprimono in maniera troppo costruita, mancano di naturalezza e gli scambi di battute appaiono sempre irrimediabilmente “scritti”. Un peccato perché, al contrario, gli attori sono tutti molto bravi, in particolare i giovani, a cominciare dal protagonista esordiente Giuseppe Dave Seke.

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Insomma, penalizzata da una scrittura acerba, forse frutto di troppe voci e qualche compromesso, Zero è la serie Netflix che ce l’aveva quasi fatta a uscire dalla mediocrità da teen drama a cui la divisione italiana del colosso dello streaming ci sta abituando. Ce l’aveva quasi fatta, bastava poco. Confidiamo in una seconda stagione più strutturata e ponderata.

Roberto Giacomelli

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