A Tor Bella Monaca non piove mai, la recensione
Roma. Tra i “casermoni” di Tor Bella Monaca vive Mauro, trentacinquenne, un uomo dal carattere mite e con un futuro che sembra offrirgli ben poche possibilità. Si barcamena come può tra lavoretti saltuari, portafoglio sempre vuoto e da qualche tempo anche senza l’amore, dal momento che Samantha, la sua fiamma di tutta una vita, ha deciso di lasciarlo per un uomo che potesse offrirle ben altre prospettive. Mauro vive con la sua famiglia e tutti i giorni, tra le difficoltà, deve cercare di sedare il carattere irruento di suo padre che sta per sfiorare l’esaurimento nervoso a causa di Ciro, un furbo commerciante che non gli paga l’affitto del locale da oltre un anno. In casa con Mauro c’è anche Romolo, il fratello maggiore, ex delinquente pentito e adesso determinato a mettere la testa a posto e farsi una famiglia. In uno scenario come questo, tra mille ingiustizie e situazioni precarie, tutto può cambiare quando alcuni amici di Mauro esternano la volontà di rapinare la mafia cinese. Ma il dilemma è solo uno: cattivi si nasce o ci si diventa?
Piove.
Nella lingua italiana il verbo impersonale “piovere” ha ben poco d’interpretabile e si riferisce inequivocabilmente ad una determinata condizione meteorologica. Nel linguaggio romanesco invece, l’espressione “piove” si apre a ben altri significati e se si abbraccia lo slang da strada possiamo scoprire che il termine indicato ha ben poco a che vedere con il meteo bensì si riferisce all’arrivo delle pattuglie della polizia. Ed è proprio così che il titolo scelto da Marco Bocci per il suo esordio alla regia, A Tor Bella Monaca non piove mai, si apre a tutta una serie di interpretazioni che si estendono dal palesato al metaforico in modo tutt’altro che banale.
Una Tor Bella Monaca arida, bruciata dalla canicola alla stregua di un paesaggio da far west e terribilmente desiderosa di “reidratarsi” in qualunque modo possibile; ma anche una Tor Bella Monaca ferma nel tempo e nello spazio, invariata da secoli, in cui tutto cambia per restare uguale e in cui non importa se sei “bravo” o “cattivo” tanto ogni cosa resterà sempre la stessa in attesa dell’arrivo di quella “pioggia” che possa finalmente spazzare via il marcio, “pulire” lo sporco e “bonificare” una terra contaminata da tempo. E poi ancora la mancata ‘pioggia’, appunto, in riferimento a quelle pattuglie della polizia che non ci sono mai quando se ne ha davvero bisogno per scongiurare un crimine o, ancor meno, per salvarsi dalla semplice tentazione.
Marco Bocci, noto attore molto attivo sul piccolo schermo e che forse in tanti ancora ricorderanno per aver interpretato il commissario Scialoja nella serie Romanzo criminale, esordisce inaspettatamente dietro la macchina da presa e decide di adattare il suo omonimo romanzo (pubblicato da Bookme nel 2016) avendo così la possibilità di confrontarsi subito con un tema sempre molto attuale nella cinematografia italiana: la periferia romana.
A Tor Bella Monaca non piove mai è dunque un film – l’ennesimo, ci verrebbe da sospirare stufi – che si unisce a quella folta schiera di prodotti che vogliono raccontare il disagio, il degrado (fisico e morale), le difficoltà ma anche l’intrattenibile voglia di vivere di tutti quegli abitanti che vivono nelle “borgate” di Roma, tutta quella gente ai margini che ha saputo catturare l’interesse della macchina da presa sin dai tempi del neorealismo, riuscendo così ad imporsi all’attenzione pubblica fino a generare – in alcuni casi – anche delle preoccupanti tendenze.
Se fino a qualche tempo fa (in realtà ancora oggi) rimproveravamo al cinema italiano un atteggiamento monotematico in fattore di commedia, oggi potremmo iniziare a dir lo stesso anche sul versante drammatico poiché di storie che incentrano il proprio focus su questi spaccati di periferia se ne iniziano a produrre davvero troppe con l’inevitabile conseguenza di partorire film tutti uguali fra loro in cui la morale, così come la parabola dei personaggi, stringi e stringi è sempre la stessa.
Marco Bocci corre il rischio di inserirsi nel coro disperdendo totalmente la propria voce e invece, con un colpo di scena decisamente inaspettato, entra nel genere a gamba tesa e non si limita a fare un bel film ma ostenta una padronanza dello strumento così come un gusto tale nella messa in scena da fare in modo che A Tor Bella Monaca non piove mai possa risultare uno dei più felici esempi di “cinema delle borgate” tra i tantissimi pervenutici in questi ultimi anni.
A rendere vincente il film ci pensa in primis la sceneggiatura, scritta dallo stesso Bocci, che restando sempre perfettamente in bilico su quella sottilissima linea di demarcazione che separa il dramma dalla commedia riesce a fornire il ritratto veritiero di una famiglia ideale di periferia senza sconfinare mai nella macchietta o nel facile stereotipo. I personaggi sono “veri”, tutti ben delineati e raccontati nella loro quotidianità, e questo porta ad una giusta gestione dei toni e dei semitoni con momenti drammatici e violenti pronti a lasciare il passo, al momento giusto, a quella sottile ironia che è propria della vita e non certo del cinema.
Ma oltre al tono espressivo/narrativo con cui il film approccia la vicenda, si lascia apprezzare quella dichiarata volontà di raccontare vite di periferia nella banalità del loro quotidiano, senza esaltare l’elemento “criminale” e facendo sì che lo stesso subentri nel film in modo graduale e naturale senza rappresentare il vero focus della vicenda. C’è la rapina, c’è la pistola (finta) e c’è un piano da eseguire a perfezione ma tutto ciò è necessario affinché il film possa parlar d’altro, il vero tema del film, ossia il pregiudizio e quell’etichettamento sociale pronto a stabilire attraverso preconcetti chi è buono e chi è cattivo. Un cattivo sarà sempre un cattivo e lo stesso può dirsi di un buono.
A dare quella marcia in più al film non basta la sceneggiatura e qui subentra lo “sguardo” del regista. Marco Bocci si avvicina alla tematica facendo quel che è giusto per emergere, ossia scansare abilmente quella messa in scena neorealista per abbracciare uno stile molto “colorato” e vivace, a tratti fieramente pop (il momento in cui esplode sonoricamente la canzone Rock ’N’ Roll Robot di Alberto Camerini né è un fulmineo esempio), in cui emerge un ricercatissimo gusto per le inquadrature e soprattutto una cura certosina per il reparto sonoro, dalla bella colonna sonora di Emanuele Frusi al lavoro di sound design e mix audio. Ecco, trovare un film italiano capace di valorizzare e stupire sotto il versante sonoro non è cosa comune.
Come si diceva, tutti i personaggi del film – dai protagonisti ai secondari – risultano valorizzati dalla sceneggiatura per merito di una scrittura attenta nel valorizzarli e conferire ad ognuno il giusto spazio. Va anche detto, tuttavia, che a rendere “forti” i personaggi ci pensano anche le interpretazioni dal momento che Bocci si circonda di un cast di primo livello. Se i protagonisti della vicenda sono i bravissimi Libero De Rienzo e Andrea Sartoretti (probabilmente alla sua miglior interpretazione di sempre), convincono anche tutti i ruoli secondari che vanno dagli infallibili Giorgio Colangeli e Massimiliano Rossi, passando per una “trasformata” Antonia Liskova fino ad arrivare al giovane Lorenzo Lazzarini.
A Tor Bella Monaca non piove mai risulta dunque una piacevole rivelazione nonché testimonianza di un talento, quello di Marco Bocci, che forse trova più giustizia dietro la macchina piuttosto che davanti. Ad ogni modo, come spesso concludiamo quando ci troviamo alle prese con un’opera prima, aspettiamo di vedere l’opera seconda per capire davvero chi è e cosa ha da dire questo “nuovo” regista in circolazione. Per ora il suo lavoro ci ha convinti senza riserve, adesso aspettiamo conferme.
Giuliano Giacomelli
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