American Sniper, la recensione
A 84 anni suonati, Clint Eastwood continua imperterrito il suo cammino cinematografico in veste di regista. Appeso al chiodo il ruolo di attore con il magnifico Gran Torino, l’indimenticabile interprete della leoniana “trilogia del dollaro” si sta dedicando con molta prolificità alla regia, strada intrapresa nel 1971 quando esordì con il bellissimo thriller Brivido nella notte.
Dopo la commedia gangsteristica-musicale Jersey Boys, arrivata nei cinema lo scorso giugno, tocca ora al genere bellico, già frequentato in passato da Eastwood con Gunny e il dittico Flags of our Fathers e Lettere da Iwo Jima. Con American Sniper l’ex Ispettore Callaghan ha fatto un altro centro.
Guardando American Sniper ci si rende conto della grandezza di un artista come Eastwood, indimenticabile come attore, poiché è riuscito a fare della sua monoliticità espressiva un incredibile pregio, ma altrettanto straordinario regista, capace di destreggiarsi con bravura ed estremo rigore tra i generi più disparati uscendone sempre a testa alta e con una cifra qualitativa incredibilmente sopra la media. È guardando film come American Sniper, che non è altro che un’opera su commissione come gli ultimi altri quattro film di Eastwood, che ci si rende conto del talento di quest’uomo, che si è trovato tra le mani la sceneggiatura di Jason Hall tratta dall’autobiografia di Chris Kyle e ne ha fatto un’amarissima parabola su quanto la guerra possa intaccare l’anima di chi la vive.
Solo sette anni fa abbiamo visto il bellissimo The Hurt Locker di Kathryn Bigelow, che American Sniper ricorda prepotentemente per coinvolgimento e trattazione della tematica. Anche in onor di questo dato, possiamo tranquillamente affermare che Eastwood non ci racconta nulla di nuovo nel suo film, ma il modo in cui la guerra è resa e trattata, può farci tranquillamente inserire American Sniper tra le cose più belle e complete a tema bellico viste in anni recenti sul grande schermo.
L’interesse e il valore di American Sniper risiede innanzitutto nel modo in cui ci descrive il mestiere del soldato: la guerra, a poco a poco, diventa un’ossessione e cattura la persona, la estranea dalla realtà, la trasforma e non sempre è facile e sicuro riuscire a tornare indietro, come se si trattasse di un viaggio di sola andata. La Bigelow mostrava efficacemente la guerra come una droga e Eastwood accoglie questa visione, raccontandoci il suo cecchino Chris Kyle in un turbine fisico ed emotivo atto a trasformarlo in una macchina omicida che non può, anzi non deve, battere ciglio neanche dinnanzi a un bambino che solo ipoteticamente potrebbe rappresentare una minaccia.
Chris Kyle, che è esistito davvero aggiudicandosi l’appellativo di “Leggenda” e finendo nel guinness come “cecchino più letale degli Stati Uniti”, ci viene mostrato fin da bambino come quello che finiva spesso e volentieri bersaglio dei bulli. L’iter che ha portato Kyle ad arruolarsi nei SEAL è velocemente scandagliato con la prestanza fisica del ragazzo e l’attitudine alle armi da fuoco, anche se il film ci dice che la goccia capace di far traboccare il vaso è scaturita da una data: 11/09/2001. Seguiamo velocemente il periodo di leva di Kyle e poi ci concentriamo sui lunghissimi quattro turni che ha dovuto fare in Iraq: quattro interminabili anni di morte, pericolo e orrore, durante i quali ha visto morire nemici e amici, rendendosi responsabile dei primi e spesso incapace di aiutare i secondi.
“Non ti ricordi di quelli che hai salvato e non ti scordi di quelli che non hai salvato”.
Questa è una delle frasi topiche di Kyle, che ci descrive efficacemente la sua visione pessimistica e disillusa della sua missione. Chris non può dire no alla guerra anche se vorrebbe, è una missione più che un lavoro e sentire sua moglie al telefono che lo supplica di tornare a casa ad accudire la figlia appena nata sembra non servire a nulla, così come veder cadere uno dopo l’altro dietro il fuoco nemico i suoi compagni di squadra.
American Sniper è un film duro, a tratti crudo, ma punta tantissimo sul lato emotivo riuscendo a trascinarci dietro i muri e sopra i tetti insieme a Chris Kyle. Il tasso di coinvolgimento è altissimo, è un film che riesce a catturare realmente lo spettatore, grazie anche alle ottime scene d’azione, ricche di pathos e adrenalina, che ci ricordano come gli odierni videogames bellici siano dannatamente simili ai veri simulatori di guerra.
Ma non è da trascurare la bravura di Bradley Cooper, anche produttore del film, che ci ricorda, di tanto in tanto, come non sia solo un mattatore da commedie per adulti ma capace anche di ritagliarsi convincenti ruoli da Oscar.
Assolutamente da non perdere!
Roberto Giacomelli
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