Analisi di un cult: Carrie – Lo sguardo di Satana

La rabbia, l’impotenza, la solitudine… Carrie è probabilmente il miglior film sul bullismo mai realizzato. Una ragazza timida e gentile di cui tutti abusano per il suo essere strana e diversa dalla massa, vittima della follia religiosa della madre e dell’indifferenza del prossimo.

Ispirato dall’omonimo romanzo di Stephen King (delle cui opere il film è considerato uno dei migliori adattamenti) e diretto dal grande Brian De Palma, la storia di Carrie a grandi linee è quella del classico film liceale americano che oggi siamo così abituati a vedere e nonostante i “prom”, cioè i balli di fine anno, non siano effettivamente parte della cultura italiana, abbiamo tutti ben presente grazie ai numerosissimi film o serie TV (soprattutto per ragazzi) che mostrano questo evento. Una trama stereotipica, ad esempio, è quella della ragazza umile e poco appariscente che riesce a conquistare il ragazzo più bello della scuola (o viceversa) e hanno il loro momento di gloria al ballo studentesco. In Carrie però questo stereotipo viene sabotato in vari modi: le evidenti difficoltà sociali della ragazza, il rapporto difficile con la madre iper-religiosa, la ferocia del bullismo nei suoi confronti, l’incapacità di reagire ai soprusi delle compagne che non sopportano la sua stranezza, la conquista del ragazzo popolare che avviene più per pietà che per un reale sentimento, e soprattutto dei poteri telecinetici di cui la protagonista sembra non avere il pieno controllo.

Carrie White

Carrie (Sissi Spacek), è una ragazza di 16 anni che vive rinchiusa tra la prigione religiosa della casa materna e quella indifferente e fredda del liceo Bates High School (ogni riferimento a Psycho potrebbe non essere casuale). Gli unici personaggi che la supportano sono l’insegnante di  educazione  fisica Miss Collins (Betty Buckley), che all’inizio del film la difende contro le prese in giro delle compagne di classe alla sua reazione alle prime mestruazioni, causando l’odio e il desiderio di vendetta di Chris Hargensen (Nancy Allen) a cui è stato proibito di andare al ballo come conseguenza di questi insulti, e Sue Snell (Amy Irving) ragazza popolare ma gentile che convince Tommy Ross (William Katt), uno dei ragazzi più belli della scuola, a invitare Carrie al ballo per farla sentire desiderata e apprezzata. La vendetta di Chris si consumerà al ballo con un diabolico scherzo, che rovinerà l’estasi e la felicità di Carrie, eletta reginetta del ballo, con una secchiata di sangue di maiale. Sconvolta, Carrie sente tutti ridere di lei, li vede attraverso uno sguardo folle e caleidoscopico, ricorda tutto il male che ha subito e sfoga i suoi poteri telecinetici per commettere una strage.

carrie lo sguardo di satana

Alcune inquadrature iconiche e indimenticabili, il contrasto tra i toni angelici   e innocenti a quelli violenti e sanguinari, la colonna sonora del compositore italiano Pino Donaggio (con cui De Palma inaugura quella che sarà una lunga collaborazione), che riprende gli accordi della colonna sonora di Psycho di Bernard Herrmann e che mescola toni lugubri a toni idilliaci e violenti, che ricordano non poco le atmosfere di Twin Peaks (chissà che Badalamenti e Lynch non siano partiti proprio da qui), e la forza del cinema dell’orrore usato come mezzo per descrivere un mondo fin troppo realistico.

Carrie - lo sguardo di satanaCarrie, infatti, oltre che un cult, è un film particolarmente caratteristico del cinema horror, tanto che attraverso la sua analisi si può arrivare ad una sorta di definizione di ciò che rappresenta questo genere (derive commerciali a parte).

L’horror è un’estremizzazione, la trasformazione nella realtà cinematografica delle paure e delle tensioni della nostra vita quotidiana, paure che spesso non si realizzano, ma rimangono latenti, invisibili, sogni notturni o poco di più. L’obiettivo del cinema dell’orrore è mostrare tutto questo (o lasciarlo perlomeno intendere), metterci di fronte a queste paure, rendere i nostri incubi reali.

I poteri psichici di Carrie rappresentano alla perfezione la sua impotenza, la rabbia repressa, l’odio che vorrebbe esplodere ferocemente ma che viene limitato a una dimensione non fisica, non concreta, non reale, relegata al pensiero, all’istinto di vendicarsi per i mali subiti. L’esplosione catartica finale è una liberazione di tutte le tensioni represse causate dalle mille ingiustizie e dalla violenza fisica e psicologica subita, una furia cieca che non risparmia neanche chi durante il film ha cercato di aiutare la protagonista a uscire dalla propria prigione (fisica e mentale) e iniziare finalmente a vivere.

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Ma in tutto questo, ci si può chiedere, qual è il ruolo di Carrie nel film? È innocente o è colpevole? È la vittima o è il carnefice?

Quella di Carrie è una furia mentale, ma in cui la mente si trasforma in mano distruttrice e punitiva, verso tutto e tutti senza nessuna distinzione. A chi in alcuni momenti di rabbia non è capitato istintivamente di pensare di sfogarsi rompendo tutto? O anche in qualche modo vendicarsi di chi ci ha fatto un torto? Ciò che però nella realtà rimane (o dovrebbe rimanere, mi auguro) nel campo del pensiero, nel cinema horror viene trasportato dal piano dell’inconscio a quello della realtà materiale, arrivando a compiere effettivamente quella vendetta tanto sospirata.

Ma la rabbia assassina di Carrie, nonostante la sua effettiva realizzazione, attraverso i suoi poteri telecinetici, rimane comunque in una dimensione mentale, provando in realtà la sua innocenza, dato che la strage parte solo dalla sua mente e mai dalle sue mani.

Mario Monopoli

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