Appendage, la recensione

Ansia, stress, insicurezza perenne e tanti altri sintomi scaturiti da uno stile di vita sempre più frenetico, ritmi quotidiani disumani e, soprattutto, un esasperato spirito di competizione figlio di una società, quella dei nostri giorni, nella quale se non produci rischi di non contare niente ed essere un signor “nessuno”: sono questi alcuni dei tanti mali che assillano l’epoca attuale. Un quadro sociale e psicologico dannoso, autolesionistico ed inquietante dal quale è molto facile generare mostri, sia in senso figurato che in quello reale e pratico del termine. Non è difficile immaginare, quindi, che gli autori horror decidano di raccontare le suddette piaghe della nostra società attraverso racconti, sia essi sotto forma di romanzo o di film, che vedono come protagonisti creature terrificanti che tormentano chi di questi mali soffre e ne viene travolto. Un esempio, su tutti è rappresentato dal recente Nocebo di Lorcan Finnegan la cui protagonista, spinta dalla voglia di imporsi e nell’ambito della moda, arriva a passare sopra a ogni forma di senso di colpa e di scrupolo, salvo poi pagarne le terribili conseguenze con una malattia respiratoria misteriosa che ne deperisce il corpo e l’aspetto esteriore.

Ma se il film con protagonista Eva Green affrontava solo in parte le tematiche di cui sopra e le fondeva con suggestioni da folk horror, un lavoro molto più focalizzato e preciso viene proposto da Anna Zlokovic la quale, al suo esordio alla regia di un lungometraggio, racconta una storia tutta incentrata sui danni derivanti da uno stile di vita sbagliato, eccesso di ansia e stress e un’insicurezza che influisce su sé stessi e sul rapporto con gli affetti più cari. Ciò che ne viene fuori è un’opera, dal titolo Appendage, nella quale la giovane regista statunitense mette in mostra idee interessanti e un buon approccio stilistico, annacquate, però, da un plot che resta a metà del guado in quanto gli espliciti rimandi al cinema di Frank Henenlotter e i body horror alla Cronenberg si fondono in maniera poco omogenea ad elementi assimilabili al genere sci-fi. La conseguenza è un film poco incisivo, quasi mai capace di catturare del tutto l’attenzione e che spicca il volo solo nella parte finale, caratterizzata da qualche colpo di scena ben piazzato e un ritmo nel complesso avvincente.

Hannah è una giovane stilista la cui vita da donna ambiziosa e rampante nel campo della moda viene falcidiata da tante negatività e diverse fonti di stress e ansia: un datore di lavoro che non perde occasione per sminuirla, genitori che non la ascoltano e un rapporto quantomeno ambiguo tra il suo fidanzato e la miglior amica che la portano ad elaborare malsani pensieri di gelosia. Uno stato di malessere così lacerante ed acuto al punto da assumere le sembianze di una creatura mostruosa che si cela dentro la protagonista e fuoriesce dal suo corpo per tormentarla e rivelarle i pensieri più reconditi.

La giovane regista non si perde in molti preamboli e convenevoli e immerge fin da subito lo spettatore nel cuore della trama, con la protagonista alle prese con una disagevole e anaffettiva cena con i genitori durante la quale a riempire la scena sono silenzi, incomprensioni e sguardi spaesati e rivolti al vuoto.

Appendage, dunque, non perde tempo ad ingranare e a mostrarci anche la presenza mostruosa che cova dentro il corpo di Hannah, il cui aspetto rimanda a mostriciattoli di altri film come Bad Milo, risulta anche dotato di quel potenziale estetico che avrebbe potuto infondere al plot quella velata contaminazione tra elementi horror ed altri leggermente comici. Le premesse per un film sferzante, inquietante e brillante ci sarebbero, ma non si concretizzano del tutto. Zlokovic, infatti, con il passare dei minuti sembra adagiarsi sulla sua idea di partenza buona, seppur non originale, e sul suddetto aspetto del mostro, trasformando alla lunga il suo lavoro in uno sterile e piatto susseguirsi di eventi che non creano inquietudine e tensione, non suscitano gag grottesche e sagaci, risultando dunque una visione non noiosa, ma neanche coinvolgente.

L’aspetto ancora più deludente è che la sceneggiatura, scritta dalla stessa regista, si focalizza pochissimo sull’analisi psicologica della protagonista i cui contrasti interiori e le insicurezze, che trovano forma e voce attraverso il mostro che esce dal suo interno, non vengono approfondite fino in fondo e non conquistano mai quella centralità che avrebbero meritato.

Insomma, Appendage è il classico film appartenente alla categoria “vorrei ma non posso” che non affonda mai il colpo fino in fondo.

Qualche bagliore di luce, tuttavia, lo si scorge in maniera netta e a tratti convincente nell’ultima mezz’ora durante la quale Zlokovic dimostra di sentirsi a suo agio con gli stilemi propri del filone fantascientifico con dinamiche che rimandano ad una sorta di invasione aliena. Da tali spunti stilistici e narrativi, di conseguenza, si generano sequenze al cardiopalma, inseguimenti, lotte contro il tempo, rapimenti e, soprattutto, emerge ancora una volta l’apprezzabile fattura degli effetti speciali il cui stile anni ‘80 rivela che Appendage è un prodotto molto più efficace come film di genere, che come horror sociale e psicologico.

Vincenzo de Divitiis

PRO CONTRO
  • Effetti visivi e aspetto del mostro ben realizzati e dal forte impatto orrorifico.
  • Il finale dalle venature sci-fi è molto ben riuscito ed appassionante.
  • L’idea di base, buona ma non originale, viene sviluppata con superficialità.
  • La componente psicologica non convince e il suo sviluppo è piatto e monocorde.
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Valutazione: 5.5/10 (su un totale di 2 voti)
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