Beau ha paura, la recensione

Beau ha paura è un film suicida. Un magnifico film suicida.

Ari Aster ha guadagnato in questi ultimi anni uno stuolo di fan molto trasversale, ovvero quelli del cinema horror e quelli dei film d’autore, dal momento che Hereditary – Le radici del male e Midsommar – Il villaggio dei dannati rappresentano due dei più importanti e celebrati esempi della new wave horror con declinazione arthouse. Per la sua terza prova con un lungometraggio, però, Aster sceglie una strada decisamente più tortuosa e, rinnovando il sodalizio produttivo con l’ormai potentissima A24, firma un film inclassificabile e molto complesso (tanto da pensare quanto da fruire): Beau ha paura.

Beau è un uomo di mezz’età schiavo delle sue paure e di una madre protettiva che l’ha reso vulnerabile alla vita. Beau vive in un quartiere molto degradato e pericoloso, non riesce ad affrontare la quotidianità senza i medicinali che gli prescrive il suo psicoterapeuta e periodicamente prende l’aereo per andare a trovare sua madre, CEO di un’azienda che opera in diversi settori. È giunto proprio quel periodo e la mamma aspetta con ansia Beau, ma un bizzarro contrattempo impedisce all’uomo di uscire di casa: da questo momento si susseguono eventi assurdi che portano Beau a compiere un viaggio (fisico e interiore) per raggiungere la genitrice e affrontare le sue paure più intime.

Messi da parte i culti pagani di Hereditary e Midsommar, Ari Aster continua però ad esplorare le tante sfumature del lutto, anzi della sua elaborazione. Se Midsommar partiva da questa tematica ed Hereditary se ne nutriva a più intervalli, Beau ha paura compie un percorso decisamente più complesso.

Il protagonista, interpretato da un Joaquin Phoenix pazzesco, è orfano di padre ma non ha mai dovuto affrontare il lutto perché il genitore è morto al momento del suo concepimento; al contrario, nel corso del film si troverà ad affrontare una morte decisamente inattesa che lo metterà di fronte a un incubo a occhi aperti. Infatti, qui Aster tocca le corde del lutto con un fare decisamente sopra le righe che non è mai terrificante come nei suoi due film precedenti ma grottesco (non può mancare una fatale decapitazione, però). Lo stesso Beau ha una reazione intangibile a questo evento, sospesa tra la realtà di chi piomba improvvisamente in una situazione così drammatica e la fantasia di chi sta affrontando un evento fuori dal comune.

Quello di Beau è uno sguardo infantile, capace di drammatizzare i piccoli ostacoli quotidiani ma impreparato a farsi peso di quelli più importanti. Il rapporto castrante con una madre che l’ha tenuto psicologicamente al guinzaglio, con bugie reiterate negli anni e un controllo chiaramente legato agli psicofarmaci, hanno fatto di Beau il bersaglio perfetto della vita, una vittima delle circostanze e delle piccole difficoltà.

Quello che Ari Aster fa compiere al suo protagonista è un viaggio iniziatico, un coming of age affidato a un cinquantenne, e lo fa cercando di scansarsi ogni possibile etichetta di genere, o meglio, inglobando in un film indefinibile commedia, dramma, horror e avventura.

Beau ha paura

Di fatto, Beau ha paura è come una lunga seduta di psicanalisi e tutto quello che vediamo potrebbe essere la proiezione delle fantasie e delle nevrosi del protagonista. Diventa, dunque, molto complicato dare un senso al susseguirsi di eventi assurdi, grotteschi, a tratti surreali, che affollano i 179 minuti di durata del film. Per questo motivo, Aster chiede allo spettatore di abbandonarsi completamente a quello che gli mostra, munirsi di una corposa sospensione dell’incredulità, e affrontare con Beau questo viaggio nel suo personale mondo di Oz popolato da senzatetto assassini, maledizioni legate al sesso, adolescenti psicopatiche, violenti reduci di guerra con disturbo da stress post traumatico e mostri che vivono in soffitta.

All’inizio ci si diverte ad assistere alle disavventure di Beau, raccontate in tempo reale come in una versione sotto acido dello scorsesiano Fuori orario, poi il film si fa sempre più nero abbracciando un’ironia decisamente macabra, fino a risultare perfino inquietante con risvolti da incubo degni di un horror. E si arriva, con un ritmo decisamente frenetico, a un terzo atto che non risparmia colpi di scena ma che può lasciare con l’amaro in bocca chi cerca una quadratura del cerchio a tutti i costi.

Per molti aspetti, Beau ha paura ricorda un altro “film suicida” dello scorso anno, Bardo, la cronaca falsa di alcune verità di Alejandro González Iñárritu, di cui è una versione decisamente più estrema e sopra le righe, la classica opera destinata a dividere senza mezze misure: sarà uno dei film della vostra vita o la peggior visione al cinema di quest’anno. Fate voi.

Dal canto suo, Ari Aster ha fatto il salto della quaglia: mentre ci si stava preparando a tessere le lodi del nuovo “master of horror” lui stupisce tutti con un film oggettivamente disorientante. Ma i suoi temi ci sono tutti e il suo percorso artistico è decisamente coerente.

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • Un calderone di suggestioni provenienti dall’inconscio collettivo e dalla cultura pop.
  • Joaquin Phoenix è ancora una volta un attore magnifico che dà molto al suo personaggio.
  • Un percorso molto interessante nella costruzione di un vero autore.
  • Diverte, inquieta, irrita: è un film completo e complesso.
  • Non è una visione facile e immediata, perciò si presta molto ad essere respingente per il pubblico mainstream.
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Valutazione: 7.5/10 (su un totale di 2 voti)
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