Creed II, la recensione

Nel 2016 il nome di Rocky Balboa ha riecheggiato con roboante intensità sui ring, anzi nelle sale cinematografiche, perché quell’icona pop che è anche monumento del cinema oltre che monumento reale in quel di Philadelphia, si è riaffacciato sul grande schermo per allenare il giovane figlio del suo amico e avversario storico Apollo Creed. Creed – Nato per combattere fu un successo di pubblico e di critica, ha lanciato nello star system il futuro regista di Black Panther Ryan Coogler ed è valso a Sylvester Stallone un Golden Globe e una candidatura agli Oscar. Oggi quel bellimbusto che all’anagrafe fa Adonis Johnson, ma conosciuto nel mondo della boxe come Adonis Creed, è tornato sul ring in Creed II, un sequel tanto emozionate quanto incredibilmente di qualità che conferma, come se ce ne fosse ancora bisogno, Sylvester Stallone come uno dei più grandi uomini di cinema viventi.

Quel Sylvester Stallone che ben 42 anni fa donò all’immaginario collettivo Rocky Balboa, forse uno dei più grandi personaggi cinematografici di sempre, ha cresciuto almeno due generazioni di spettatori, è tornato sulla sua creazione più fortunata a riprese scandite da decenni senza perder mai quell’umiltà che lo ha reso amato e popolare. La stessa umiltà con cui in Creed II Rocky si mette da parte, lasciando il testimone al suo pupillo Adonis Creed: “ora è il tuo momento!”.

Creed II è veramente più incentrato su Adonis, evitando che l’attenzione dello spettatore si soffermi sull’ex pugile più che sul suo erede come era accaduto nel primo film, ma allo stesso tempo l’eredità della saga di Rocky è ugualmente pesante, un vero macigno che rende Creed II tanto il sequel di uno spin-off che a tutti gli effetti un sequel della saga madre. Perché in Creed II c’è un elemento imprescindibile che lo rende idealmente un Rocky VIII: Ivan Drago.

Forse il villain più celebre della saga sullo Stallone Italiano, comparso nel 1985 in Rocky IV e responsabile proprio della morte di Apollo Creed, Ivan Drago torna in scena dopo oltre trent’anni per chiedere la rivincita, ma stavolta non sarà lui a combattere, così come non lo è Rocky, ma suo figlio Viktor. Drago vs. Creed, ancora una volta per quello che si prospetta il match del secolo. Un’occasione ghiotta per i manager, un motivo per placare il rancore da parte del Team Drago e un’occasione per il giovane Creed per dimostrare al mondo che vale e che non è solo il suo cognome a definirlo.

Ryan Coogler non è più dietro la macchina da presa ma figura solo come produttore esecutivo e la regia è passata a Steven Caple Jr., quasi esordiente che riesce a mettere in Creed II tutta l’energia e l’emotività che un film di questo tipo deve avere. La sceneggiatura di Sylvester Stallone e Juel Taylor, infatti, riesce ad equilibrare in maniera pressoché perfetta tutti gli elementi che devono esserci in un grande film sulla boxe, quindi in un ottimo capitolo della saga di Rocky. Troviamo Adonis temprato con una nuova consapevolezza, cresciuto e pronto a fare il grande passo, il matrimonio, ma anche neo-padre. Allo stesso tempo Adonis è insicuro, tanto nel modo di porsi verso la sua fidanzata Bianca (Tessa Thompson, magnifica) quanto nella sua professione. È cocciuto nell’imporsi nei confronti del suo mentore Rocky, che non vuole che combatta contro Viktor Drago, ma allo stesso tempo è terrorizzato di non farcela, di rimanere l’ombra di suo padre, di non essere all’altezza del nome che porta. Creed II approfondisce adeguatamente il personaggio interpretato da Michael B. Jordan dando ad Adonis quella sferzata che gli mancava nel primo film, utile a creare quell’empatia con lo spettatore necessaria a farlo affezionare e a tifare per lui durante il match finale.

Allo stesso tempo, però, sorprendentemente Creed II porta in scena un grandioso Team Drago. Ivan e suo figlio Viktor sono grandi tanto quanto Rocky e Adonis, si riesce a percepire la loro caparbia, a comprendere la loro motivazione nell’emergere da quell’onta che infanga il loro nome da 33 anni. Viktor – che ha il fisico massiccio del campione di kickboxer Florian Munteanu – è cresciuto nel rancore e con il solo obiettivo di soddisfare la voglia di rivincita di suo padre. Una macchina simile a quella che nel clima da Guerra Fredda fu Ivan Drago, ma intrisa di maggiore umanità, di sentimenti veri. Suo padre Ivan, invece, grande burattinaio, ha perso quella mastodontica e inarrestabile glacialità che lo aveva fatto soprannominare “Transiberiana”, ha ancora il volto da cinema di Dolph Lundgren, ora sofferto e rugoso, e sta facendo i conti con la sconfitta che gli ha fatto perdere la credibilità nel suo Paese e la moglie (ancora Brigitte Nielsen in un cameo). Le motivazioni del Team Drago, in un certo senso, sono più vere e forti, riguardano la dimensione dei “perdenti”, la stessa di cui un tempo ha fatto parte lo stesso Rocky, e in più occasioni vanno ad oscurare la parabola di Adonis.

Non più, dunque, un villain anonimo, uno scontro focalizzato sull’aspetto più prettamente sportivo e spettacolare della boxe, ma un vero crescendo che porta uno contro l’altro personaggi forti e carismatici, con la consapevolezza che alla fine, qualunque sarà l’esito del match, non sarà mai una vittoria a tutto tondo. Una costruzione notevole, uno script notevole, che portano Creed II a vantare uno dei match finali più intensi e riusciti dell’intera saga di Rocky.

E Poi c’è Rocky Balboa, anzi Sylvester Stallone, grandissimo come sempre con quel carisma e quel fare accomodante che lo fa somigliare a un vecchio amico, a un parente a cui si vuole davvero tanto bene. Qui Rocky c’è nei momenti più importanti, fondamentale nell’ormai classico climax dell’allenamento, si trova all’angolo a motivare Adonis ma ormai ha detto tutto quello che c’era da dire. L’arco narrativo di Rocky Balboa trova qui un compimento, una chiusa perfetta e toccante, e arrivati ai titoli di coda si sente il bisogno di dirgli grazie. Grazie per un personaggio stupendo, grazie per una delle saghe più emozionanti della storia del cinema.

Grazie Rocky. Grazie Sylvester Stallone.

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • Ogni personaggio ha il giusto spazio e ognuno ha l’approfondimento adeguato.
  • Il ritorno di Ivan Drago.
  • Il match finale è uno dei più emozionanti di sempre.
  • La regia di Steven Caple Jr. è più convenzionale se paragonata a quella di Coogler.
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