Drag Me To Hell, la recensione

Christine Brown lavora in una banca e desidera la promozione a vice-direttore che sembra essere ormai nelle mani del viscido Stu. Un giorno un’anziana donna si reca alla scrivania di Christine per chiedere una terza proroga al mutuo della sua casa ma Christine, per mostrarsi determinata agli occhi del suo capo, glielo nega umiliandola davanti a tutti. L’anziana, allora, scaglia una maledizione sulla ragazza: in tre giorni la sua vita verrà trasformata in un incubo finché un terribile demone arriverà a trascinare la sua anima nelle fiamme degli inferi. Per Christine sarà una vera corsa contro il tempo per salvare la sua anima, tra sacrifici, sedute spiritiche e difficoltose scelte morali.

Tra uno Spider-Man e l’latro il geniale San Raimi non dimenticava la sua dedizione per l’horror che lo ha fatto conoscere al mondo intero. Se infatti la sua casa di produzione, la Ghost House Pictures, nel primo decennio del terzo millennio era costantemente attiva, i suoi impegni dietro la macchina da presa con il cinema del brivido erano in quegli anni sempre più rari e anche oggi quel ragazzaccio che si era fatto strada a colpi di splatter è sempre meno dedito all’horror. Ma nel 2009 Raimi era tornato in pompa magna a spaventare e divertire con Drag Me to Hell, che a conti fatti si distinse come uno degli horror più folli e riusciti di quell’annata cinematografica.

L’intenzione di realizzare Drag Me to Hell frullava nella mente del regista da almeno venti anni, quando scrisse una prima sceneggiatura ispirandosi a una storia che sua madre gli raccontava da bambino per farlo stare buono durante i viaggi in automobile. E infatti la derivazione favolistica di Drag Me to Hell è evidente sia per i connotati moralistici su cui l’intera vicenda ruota, sia per il ricorso ad elementi dell’immaginario collettivo orrorifico, quali streghe, demoni e maledizioni. Elementi che comunque sono ben radicati nella poetica raimiana, così riconoscibile in un modo personalissimo di raccontare e mostrare storie come solo pochi riescono a fare.

La macchina da presa nei frequenti momenti di frenesia sembra come impazzita, non mancano le carrellate in stile Evil Dead, così come le inconfondibili scene con audio iperrealistico, inquadrature sghembe e movimenti di macchina virtuosistici, e poi ancora demoni bavosi, animali spiritati e parlanti, diluvio di liquidi organici e gag splatter quasi da cartone animato.

Quello di Sam Raimi è un cinema che tende a divertire piuttosto che a spaventare, o meglio, che spaventa divertendo. Se l’immancabile particolare macabro e l’utilizzo di jump scares cercano il facile spavento, non mancano anche scene di sana suggestione espressionistica, come nella bellissima scena delle ombre che si muovono nella casa della protagonista. Ma la parte da leone la fanno le numerose scene ironiche e grottesche in cui la protagonista si trova a subire le più paradossali “torture”, sballottata e maltrattata in un modo così eccessivo da portare Drag Me to Hell vicino a un cartoon di Wile E. Coyote.

Ma Drag me to Hell non è un’operazione auto celebrativa, come qualcuno ha voluto suggerire, piuttosto è un’ulteriore dichiarazione d’amore verso il cinema di genere e verso l’estetica da fumetto che il regista ha sempre manifestato. Un regista capace come pochi di riuscire a fare divertire il suo pubblico con originale intrattenimento senza pretese, sempre ricco di inventiva ed esplicita passione. Se poi riusciamo a intravedere nell’incipit del film anche un riflesso dell’attualità finanziaria riguardo la crisi dei mutui e la condizione di allerta in cui versano le banche, tanto meglio, un valore aggiunto all’opera di Raimi e ulteriore conferma che il genere horror è sempre pronto a fornirci un apprezzabile riflesso delle paure che gravano sulla società.

Un po’ tutto contribuisce a fare di Drag Me to Hell un ottimo film: dallo script ordinato e ricco di ritmo narrativo – opera di Sam e Ivan Raimi – alle musiche dal sapore retrò di Christopher Young, fino alla prova dell’intero cast, in primis della brava e poco utilizzata Alison Lohman (Big Fish; Il genio della truffa), che qui veste i panni della protagonista.

Un discorso a parte lo meritano i numerosi effetti speciali, che mai come questa volta appaiono sempre funzionali alla vicenda. Si fa uso di computer grafica, ma lo si fa in modo parsimonioso (forse giusto un paio di scene sono di troppo) e il grande del lavoro è affidato agli ottimi effetti di make-up e ai fantocci in silicone che designano perfettamente la matrice “eighties” che risiede dietro l’operazione (e non è un caso se il film si apre con il vecchio logo della Universal).

Insomma, Drag Me to Hell è un film imperdibile per chi vuole ritrovare un Raimi in salsa horror/baracconesca e per di più originale; un divertente e adrenalinico giro sulle montagne russe che si mostra come un’anomala operazione nostalgica e retrò capace però, allo stesso tempo, di essere fresca e moderna.

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • Un Sam Raimi in perfetta forma che mostra ancora voglia di divertire e spaventare.
  • Gli effetti vecchio stile e gli eccessi cartooneschi.
  • Qualche effetto in CGI di troppo.
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Valutazione: 7.5/10 (su un totale di 2 voti)
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Drag Me To Hell, la recensione, 7.5 out of 10 based on 2 ratings

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