Going Clear: Scientology e la prigione della fede, la recensione

Going Clear: Scientology e la prigione della fede, come da titolo, è un documentario sulla storia e sulla dottrina di Scientology perciò, se non sapete nulla a riguardo, prima di continuare a leggere, fate una breve ricerca sull’argomento (Wikipedia rules) e, se avete un paio di ore, recuperate The Master di P. T. Anderson, con il compianto Phillip Seymour Hoffman (il protagonista, infatti, è liberamente ispirato a Ron Hubbard, padre della Chiesa di Scientology).

Definito dall’Esquire “il più grande documentarista del nostro tempo”, il regista Alex Gibney non ha mai scelto argomenti soft per i suoi lavori: passiamo dalla politica violenta del governo Bush in Taxi to the Dark Side (grazie al quale vinse l’Oscar come miglior documentario) agli abusi sessuali della Chiesa cattolica di Mea Maxima Culpa. Quindi non dobbiamo stupirci più di tanto se ha deciso di portare sul grande schermo il saggio dello scrittore premio Pulitzer Lawrence Wright. Il regista sceglie di raccontare Scientology attraverso le parole e le esperienze di otto ex-fedeli della Chiesa e confeziona una pellicola che non si ferma alla semplice raccolta di materiali con successivo taglio e cucito, ma rende il documentario una vera esperienza cinematografica, un’operazione di grande maestria, rara nella sfera del cinema documentario (GRA di Gianfranco Rosi ne è un ottimo esempio per il panorama italiano).

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Going Clear alterna abilmente interviste, molte immagini di repertorio ed immagini cinematografiche per ricreare alcune situazioni narrate dai protagonisti: pochi fotogrammi, anche se fittizi, accompagnati dalle parole degli intervistati riescono a farci immergere nella cruda realtà. È una questione di stile, di capacità di raccontare il mondo ed il resto brilla di luce propria.
La narrazione di Going Clear muove i primi passi partendo dal suo fondatore, Ron Hubbard, e percorre tutte le tappe della vita della Chiesa, i suoi momenti d’oro, le sue cadute e i suoi lati più oscuri. Il titolo fa riferimento al complesso (e costoso!) cammino spirituale che i credenti devono compiere per raggiungere lo stato di “clear”; tanti, tantissimi termini riempiono l’intero film per cercare di spiegare un’intera dottrina religiosa.

In Scientology, però, sono centrali anche i (moltissimi) soldi, perché far parte della Chiesa non è privo di costi. Questa religione articolata e dispendiosa, a metà tra lo spiritismo e la scienza, incantò gli uomini fin dai primi anni Settanta, come possiamo osservare nella prima parte del film completamente dedicata al suo fondatore. “I soldi si fanno creando nuove religioni” affermava Hubbard: comprendiamo che il denaro è sempre stato indissolubilmente legato alla Chiesa.
Inoltre, Scientology ha sempre lottato per non pagare le tasse in quanto ente religioso. Tuttavia, l’agenzia delle entrate statunitense non era d’accordo; anni ed anni di battaglie legali hanno portato alla vittoria di Scientology con tanto di festa in stile Academy Awards, fuochi d’artificio, abiti da sera e maxi schermi su cui primeggiava la scritta “la guerra è finita”, il tutto immerso in un’aria dal sapore dittatoriale.

Fanatismo, penserete, eppure il film vuole mostrarci che dietro Scientology c’è ben altro. Basta andare oltre il titolo e prendere in considerazione le parole successive, La prigione della fede: un sottotitolo pungente che si manifesta davanti ai nostri occhi grazie a coloro che sono riusciti a vedere proprio questa prigione. Otto persone, otto ex-fedeli che per anni hanno creduto e supportato la Chiesa, raccontano per la prima volta la loro esperienza: il sentimento che predomina nei protagonisti è senza dubbio la vergogna. Nonostante i ricatti, i pedinamenti, le discriminazioni, gli abusi e le violenze fisiche e psicologiche, alcuni degli otto ex appartenenti alla Chiesa non sono riusciti subito ad osservare con mente lucida la prigione che si stava costruendo attorno a loro. Tale prigione non era solo mentale, ma anche materiale: una parte della pellicola si concentra su un luogo definito “il buco” ed altri luoghi preposti alla purificazione dei fedeli.

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Le parole di umiliazione degli intervistati si fondono con le immagini cinematografiche, le quali fotografano luoghi inquietanti e giochi psicologici che sembrano provenire da un comune horrror (la sequenza del gioco della sedia sembra essere un estratto di Funny Games di Michael Haneke).
Ora, però, dobbiamo osservare anche l’altra faccia della medaglia: Scientology è da sempre la religione più collegata al divismo cinematografico. La Chiesa di Scientology ha trasformato Hollywood nel suo ambiente liturgico e gli attori nei suoi biglietti da visita, nei volti da copertina per le cause della religione. Per questo motivo, Going Clear riserva spazio anche alle storie di John Travolta e Tom Cruise: non semplici membri, ma veri reclutatori di credenti. Un sorriso ammaliante di Cruise si contrappone alle accuse sprezzanti di Paul Haggis, regista di Crash nonché più celebre tra i fuoriusciti dalla Chiesa dopo 35 anni.

Tra miti alieni, cammini spirituali molto dispendiosi (divisi in livelli, come in un videogioco), la macchina e-meter (strumento dall’aspetto alquanto rudimentale alla base del processo di purificazione), grandi feste e un focus importante sul successore di Hubbard, David Miscavige, la denuncia del film arriva forte e chiara. Going Clear si configura come la prima opera filmica in grado di realizzare un documentario molto ricco e dettagliato senza però ridursi a semplice elenco di dati e eventi. Il film, in circa due ore, racconta tantissimo mantenendo l’interesse dello spettatore sempre vivo. Non saremo noi a dirvi se Scientology ha fatto più bene o male ai suoi fedeli, ma possiamo assicurarvi che la denuncia di Going Clear lascerà sicuramente il segno. La pellicola è in sala dal 25 giugno, distribuita da Lucky Red.

Matteo Illiano

PRO CONTRO
  • Gibney tratta un argomento scottante attraverso un documentario chiaro, molto dettagliato e coinvolgente.
  • Il film riesce nell’intento di dar voce a persone che avevano bisogno di raccontare la propria storia.
  • Magistrale struttura compositiva che alterna interviste, immagini di repertorio e molto altro.
  • Alcune espressioni e concetti vengono ripetuti forzatamente.
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Valutazione: 8.0/10 (su un totale di 1 voto)
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