Heidi, la recensione

Se oggi molti adulti e giovani adulti conoscono benissimo la piccola Heidi, suo nonno il Vecchio dell’Alpe, il Generale delle capre Peter, la paraplegica Clara e la severa governante Rottermeier, probabilmente è grazie alla magnifica serie d’animazione realizzata nel 1974 da Hayao Miyazaki e Isao Takahata, che ha letteralmente cresciuto più di una generazione. Ma l’adorabile bimba delle Alpi è nata molto prima, sul finire dell’800, quando furono pubblicati due romanzi dell’autrice svizzera Johanna Spyri che riscossero un grande successo in tutto il mondo.

Gli anni di formazione e di peregrinazioni di Heidi e Heidi può servirsi di quello che ha imparato sono stati tradotti in più di cinquanta lingue e hanno venduto, negli anni, più di 50 milioni di copie in tutto il mondo, facendo dei personaggi della Spyri patrimonio nazionale svizzero. Va da se che i media non potevano stare a guardare e la serie giapponese è solo l’apice televisivo di un successo che ha riguardato sia il cinema americano (un film del 1937 con Shirley Temple) che quello tedesco (un film di grande successo nel 1952 e relativo sequel nel 1955), senza tralasciare diversi adattamenti anche live action per la tv.

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In uno scenario già cosi affollato, arriva un nuovo adattamento per il grande schermo che porta la firma dello svizzero Alain Gsponer (Un fantasma per amico) e si pone come fedele trasposizione dei due romanzi della Spyri.

L’orfanella Heidi viene condotta da sua zia Dete, che le ha fatto da tutrice per due anni ma non può più occuparsene, nella baita in montagna di suo nonno. L’uomo, che ha una pessima fama in paese, inizialmente si oppone alla custodia della bambina, ma se ne affeziona ben presto. Heidi passa le giornate portando a pascolo le capre insieme all’amichetto Peter, finché un giorno zia Dete viene a riprendere la nipote per affidarla in alla ricca famiglia francofortese dei Seseman, dove avrebbe fatto da dama di compagnia alla giovane Clara, malata di poliomelite, ricevendo la migliore educazione. Pur trovandosi bene con Clara, Heidi sente la mancanza del nonno e della natura, cominciando a mostrare un evidente malessere.

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Catturando i momenti e gli elementi topici dei romanzi e trasponendoli con fedeltà e intelligentissimo senso dell’adattamento/riduzione, il nuovo film su Heidi si presenta come un prodotto realizzato con cura e rispetto per la fonte. Chi di noi conosce già i personaggi dai romanzi o perché – come il sottoscritto – ha visto e rivisto l’anime, si troverà immediatamente immerso in un ambiente molto familiare. La sceneggiatrice Petra Volpe ha infatti ripercorso la vicenda inserendo tutti gli episodi più iconici, dai gattini raccolti in strada, ai panini rubati per la nonnina di Peter e la sedia a rotelle gettata giù dalla scarpata, passando essenzialmente per il caso del fantasma che infesta casa Seseman.

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Allo stesso tempo, però, questo film pone intelligentemente un’evoluzione nei personaggi che fa ipotizzare un prospetto futuro, che sull’opera originale non esisteva. Nei romanzi (ma anche nella serie di Miyazaki) Heidi è idealmente un’eterna bambina, un personaggio non destinato a crescere in alcun modo, simbolo della purezza, della joie de vivre e della libertà. Nel film di Gsponer, pur non stravolgendo quello che il personaggio rappresenta, si aprono piccoli prospetti che fanno di Heidi una bambina destinata ad avere un futuro e la sua risposta (derisa dai compagni) al maestro su cosa vorrebbe fare da grande ne è la massima esplicazione.

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Il sapore di fiaba morale dall’irrimediabile alone buonista lascia il passo a un gioco di simbolismi e metafore che forse neanche ci saremmo aspettati da un film chiaramente indirizzato a un pubblico di bambini e famiglie. Gli impedimenti che limitano i due personaggi femminili del film, Heidi e Clara, ovvero, rispettivamente, il non saper leggere e il non saper camminare, diventano veicoli del “non volere”. Nel mondo cinematografico di Heidi non esiste non saper fare le cose, ma tutto è dettato dalla buona volontà e per raggiungere l’obiettivo è importante avere una motivazione abbastanza forte che sproni a imparare. L’istruzione è fondamentale in un ambiente che suggerisce di continuo l’inutilità della stessa e la curiosità di sapere o la necessità di fare sono un elemento fondamentale per supportare questa tesi. Un racconto morale che però non sbandiera mai la sua natura, affidandosi più alla bontà della storia e al ritmo perfettamente scandito.

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Contribuiscono alla riuscita di questo nuovo Heidi anche gli attori scelti per i ruoli principali, a cominciare dalla piccola protagonista, interpretata dall’esordiante Anuk Steffen, e da Bruno Ganz, che è un Vecchio dell’Alpe davvero perfetto, oltre che un attore dal carisma e dall’intensità di sguardo sorprendente.

Heidi ha la forza di coinvolgere e trasportare lo spettatore in una dimensione ideale, e se l’effetto Madeleine è inevitabile per i trentenni/quarantenni per ovvi motivi culturali anagrafici, i più piccoli possono godersi una bellissima storia raccontata con brio e giusta calibrazione dei buoni sentimenti.

E se vi chiederete che fine ha fatto l’iconico cane San Bernardo Nebbia, sappiate che è un’invenzione della seria animata di Miyazaki e sui romanzi della Spyri non c’è mai stato!

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • Una bella storia raccontata con senso del ritmo.
  • Ottimi attori, in particolare Bruno Ganz.
  • Una giusta selezione degli eventi chiave dei romanzi.
  • C’è un pedagogismo di fondo che forse può risultare stucchevole allo spettatore meno avvezzo a determinate tipologie di film.
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Valutazione: 7.0/10 (su un totale di 1 voto)
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Valutazione: +2 (da 2 voti)
Heidi, la recensione, 7.0 out of 10 based on 1 rating

One Response to Heidi, la recensione

  1. Alessandro ha detto:

    Denuncerò i produttori del cartone animato per avermi fatto affezionare a Nebbia! ☹️
    Per il resto un film bellissimo, pieno di significato e soprattutto pieno di emozioni!!! Attori fantastici!!!

    10+++++

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