Human Flow, la recensione

In questi ultimi anni, oltre 65 milioni di persone sono emigrate per sfuggire a guerre, cambiamenti climatici e persecuzioni, e di conseguenza si sono girati numerosi film, si sono scritti libri ed erette opere che riflettessero la gravità di questa crisi mondiale.  Quando i tempi si fanno duri, gli artisti iniziano a creare.

Ai Weiwei ha fatto indubbiamente suo questo credo, realizzando svariate installazioni artistiche imprescindibili dal suo costante impegno attivista. Nello specifico, sono le sue opere dedicate alle condizioni dei rifugiati oggigiorno a trovare la summa ideale in Human Flow, documentario presentato dall’artista cinese all’ultimo Festival di Venezia.

Se dovessimo descrivere questo docu-film con una sola parola, quantità sarebbe quella giusta. Weiwei ambiva a tradurre in immagini gli spostamenti delle masse, servendosi a questo scopo di numerose riprese dall’alto che planano su file infinite di tende, giubbotti salvagente, container, persone. Anche la durata del documentario rispecchia questa ricerca esasperata della “quantità”: esasperata perché due ore e venti costituite da un flusso di immagini ripetitive lasciano lo spettatore davvero spossato. La sensazione finale è quella di aver visto un lunghissimo telegiornale dalla confezione impeccabile quanto vuota.

Pertanto Human flow fallisce nel suo intento di sensibilizzare. Non aggiunge nulla di più a quello che un individuo dotato di empatia, un televisore o una connessione Internet già sapeva, ovvero che le storie dei rifugiati e le difficoltà che incontrano sono spaventose ma sottovalutate da molti governi. Weiwei intendeva esprimere queste difficoltà in maniera differente, lasciando che lo spettatore si “immergesse” in questo flusso di immagini e uscisse dalla sala cinematografica con nuove consapevolezze, ma la verità è che, in fin dei conti, il documentario non è certo avanguardistico ma anzi strizza l’occhio alle forme che vorrebbe superare: infatti presenta dei momenti furbetti degni di servizi giornalistici di bassa lega, come quando Weiwei riprende col cellulare i migranti che sbarcano esausti sull’isola di Lesbo, stando loro letteralmente addosso, o quando si piazza davanti alla cinepresa ben attento a farsi vedere mentre scherza con alcuni abitanti dei campi profughi o mentre li consola.

Human flow è in sintesi un docu-film essenzialmente fastidioso e compiaciuto: si fregia di immagini dalla qualità eccelsa, indugia su volti affranti e pensa di aver realizzato un bel compitino, addirittura per certi versi provocatorio. Non ci si aspettava che proponesse soluzioni, come fa a proporle quando talvolta nemmeno i governi ci riescono; ma certo un lavoro del genere segna un passo indietro nella narrazione dell’emergenza profughi.

Giulia Sinceri

PRO CONTRO
Il film vanta un’estetica impeccabile. Fastidioso, compiaciuto, furbetto, vuoto, eccessivamente lungo.
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Valutazione: 4.0/10 (su un totale di 1 voto)
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Human Flow, la recensione, 4.0 out of 10 based on 1 rating

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