Io C’è, la recensione

Massimo Alberti è il proprietario del “Miracolo Italiano”, un lussuoso bed & breakfast ormai caduto in rovina. Troppe tasse e pochi clienti. La crisi economica che ha asfaltato la sua attività, tuttavia, sembra non aver danneggiato minimamente le sue dirimpettaie, un convento di suore che ospita un flusso continuo di turisti in cambio di donazioni spontanee. Naturalmente esentasse. Massimo, all’improvviso, ha la soluzione a tutti i suoi problemi: per far sopravvivere il “Miracolo Italiano” deve trasformarlo in un luogo di culto. Non potendo però contare sull’appoggio di nessun credo esistente, Massimo fonda una nuova religione. Nasce lo Ionismo, la prima fede al mondo che pone al centro dell’universo l’IO nonché la prima religione nata con lo scopo indiscusso di assolvere da tasse e contributi statali. Nel suo folle piano, Massimo sarà spalleggiato dalla sorella Adriana, integerrima commercialista, e da Marco Cilio, uno scrittore che ama scrivere libri destinati a non essere letti.

Ce lo stiamo ripetendo da tempo: in questi anni di profonda crisi della commedia all’italiana, l’unica autentica certezza sembra esser diventata Edoardo Leo. Con lui, infatti, la commedia all’italiana sembra aver trovato quel giusto equilibrio tra innovazione e tradizione. Che si tratti di un film da lui diretto e interpretato o – come in questo caso – solamente interpretato (anche se notiamo il suo contributo pure nel soggetto e nella sceneggiatura), il cinema di e con Edoardo Leo presenta sempre delle caratteristiche ben precise che lasciano immaginare che l’attore romano, negli ultimi anni, scelga con molta attenzione le sceneggiatura da sposare senza lasciarsi “corrompere” dal vil denaro. Massimo rispetto per Leo, dunque, che in poco più di cinque anni ha saputo donare nuova linfa al genere italiano per eccellenza imponendosi come miglior commediante del momento così da scansare persino mostri sacri della comicità italiana.

Adesso arriva nelle sale Io C’è, terzo film scritto e diretto dal giovane Alessandro Aronadio che due anni fa ci aveva sorpresi con Orecchie, un’anomala commedia sperimentale e low budget capace di conquistare pubblico e critica sin dal suo debutto al Festival di Venezia. Aronadio è uno di quei “cinematografari” in grado di tradurre il significato della parola “gavetta”. Ha iniziato come assistente e aiuto regia in produzioni italiane e non, poi è passato ad un’attività massiva come sceneggiatore (ricordiamolo, vista l’occasione, per lo script di Che vuoi che sia, ultimo film da regista di Leo) e adesso sembra aver imboccato definitivamente anche il percorso del regista. Con risultati indubbiamente interessanti, occorre dirlo.

Con Io C’è Aronadio realizza quella commedia impeccabile che fa “bingo!” sotto un po’ tutti i punti di vista. C’è una storia ori-geniale, un senso dell’umorismo costante ma che non eccede mai ed un cast di attori assolutamente in stato di grazia. Tutto è al suo posto. Tutto è perfetto. In primissima istanza si lascia apprezzare il coraggio dell’autore di aver voluto ironizzare, talvolta in maniera velata ed altre in modo più diretto, su un argomento che nel nostro Paese è sempre un po’ tabù: la religione. Ma la capacità di Aronadio è stata quella di scherzare sulle religioni, tutte e non solo quella cristiana, in modo intelligente e spiritoso senza correre il rischio di poter offendere la sensibilità di nessuno.

Quelli che vengono messi alla berlina, infatti, non sono le religioni in quanto tali bensì molti usi e costumi legati ai culti sacri, tanti dei quali hanno davvero dell’incredibile senza il necessario bisogno di esagerazioni al fine di generare risate. In questo Io C’è fa un centro clamoroso e molte sequenze, come il pernottamento di Massimo al convento delle suore o la genesi dello Ionismo, riescono a suscitare grasse risate pur mantenendo il massimo rispetto verso qualunque credo religioso.

Oltre alla riuscita sotto un punto di vista etico-concettuale, la sceneggiatura del film si distingue in tutte le sue sfumature che, al di là del già citato senso dell’umorismo costante, riserva un lavoro magistrale sulla caratterizzazione dei personaggi in scena. I tre protagonisti sono perfetti e se non occorre aggiungere altro per sottolineare i meriti di Edoardo Leo, va evidenziata la grandiosità di Giuseppe Battiston, che nel film interpreta l’esaltato scrittore-ideologo Marco Cilio, un personaggio-spalla perfetto a cui sono affidati molti dei momenti più divertenti del film. Notevole anche l’interpretazione di Margherita Buy, la sorella del protagonista, che torna a prestare una performance divertente (dopo i verdoniani Maledetto il giorno che t’ho incontrato e Ma che colpa abbiamo noi) lontana dai suoi soliti cliché filo-drammatici a base di ansia e depressione. Ma Aronadio non si accontenta di scrivere alla perfezione i tre protagonisti, no, ci fornisce un campionario di psicologie interessanti anche per ciò che riguarda tutti i personaggi secondari, tra cui citiamo la brava Giulia Michelini e un simpatico Massimiliano Bruno.

Se vi riconoscete nell’identikit dello spettatore nostalgico che rimpiange la commedia all’italiana del passato, quella divertente e cinica al tempo stesso che sapeva ironizzare in modo pungente sui vizi e le virtù di noi italiani, allora dal 29 Marzo in sala c’è il film che fa sicuramente per voi.

Adesso ci dobbiamo concentrare per il prossimo obiettivo: l’8 x 1000!

(Marco Cilio – Giuseppe Battiston)

Giuliano Giacomelli

PRO CONTRO
  • Alessandro Aronadio costruisce una commedia impeccabile che unisce tradizione (contenuti e humor) e innovazione (ritmo).
  • Una commedia all’italiana che si beffa degli italiani, e della religione, in modo intelligente e sottile. Mai offensivo.
  • Sceneggiatura impeccabile.
  • Gli attori, su tutti Edoardo Leo e Giuseppe Battiston.
  • Non sempre occorre trovare il pelo nell’uovo.
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