Io sono Tempesta, la recensione
Numa Tempesta (Marco Giallini) è un carismatico e cinico finanziere che, condannato per evasione fiscale, si ritrova a scontare la sua pena: un anno di servizi sociali in un centro di accoglienza. Lì conoscerà non soltanto il giovane Bruno (Elio Germano) e suo figlio, ma anche un variegato gruppo di senzatetto pronto a sorprenderlo e non in positivo…
Io sono Tempesta, ultima fatica di Daniele Luchetti, è la storia della caduta di uno scellerato riccone senza scrupoli, uno speculatore perennemente attorniato da escort e loschi burocrati. Una personalità non così distante da quelle di cui troppo spesso ascoltiamo le beghe nei notiziari, non credete?
Il nostro Tempesta, costretto, come si diceva, a entrare in stretto contatto con clochard e reietti di ogni tipo, incanterà l’ingenuo Bruno, persuadendolo che l’agognata speranza di poter fare ‘soldi facili’ sia a portata di mano. Sarà questa illusione la scintilla che innescherà nella comunità iniziative potenzialmente disastrose.
Non è difficile intuire il nobile intento di Luchetti di rimboccarsi le maniche e raccontare il suo ironico spaccato d’attualità, condendolo con profonde allegorie e consistenti spunti morali.
Tuttavia, vi riesce in minima parte. È senza dubbio interessante la scelta di rappresentare l’avidità e la truffa come chimerici germi pronti a contagiare e sedurre i meno fortunati e il gioco d’azzardo come collante universale tra le classi sociali. Peccato che questa, come altre valide tematiche, sia enunciata prevalentemente in sordina, e l’epilogo lieto ad ogni costo rischi seriamente di vanificare la solidità delle riflessioni suggerite.
Giallini, si sa, è una garanzia, e fa del suo meglio anche in questo ruolo insolito per la sua carriera; Elio Germano, il cui compito sarebbe veicolare le argomentazioni di cui sopra, inciampa invece su una comicità piuttosto fiacca e gag già viste. La responsabilità è non solo di una sceneggiatura tendente a girare a vuoto a causa di una disfunzionale struttura episodica, ma anche di una trascurata scrittura di protagonisti e comprimari, incapaci di rappresentare per il plot un valore aggiunto. Tanto per fare un esempio, la ‘doppiezza’ dei senzatetto, capaci di nefandezze quanto se non di più del loro ‘coach’, avrebbe meritato maggiore approfondimento.
Io sono Tempesta non ha né la genuina follia dello ‘scult’ Dillo con parole mie né l’acuta incisività di Mio fratello è figlio unico. È una debole commedia carica di buone premesse che non sbocciano e popolata da personaggi tenuti al guinzaglio anziché lasciati liberi di tuonare il proprio disagio.
Se anche Luchetti avesse voluto votare il lungometraggio esclusivamente al registro grottesco, manca quel graffiante humour nero che tanto avrebbe giovato alla caratterizzazione, in primis, di un personaggio come Tempesta. Invece, infine, ogni magagna si risolve, ciascuno – ricco o povero – ha il suo riscatto e il pubblico ha la sua favoletta consolatoria. E la cinematografia nostrana, non dimentichiamolo, ha il suo ennesimo prodotto, sebbene ispirato, mediocre e irrisolto.
Chiara Carnà
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