Kung Fu Panda 3, la recensione

L’animazione è cambiata e di questo ormai ne sono tutti consapevoli. Erano in molti che, in un tempo non troppo lontano, etichettavano tutta l’animazione con la frase “è solo un film per bambini”. Non serve andare molto lontano per trovare le prove di questa trasformazione ma è sufficiente osservare la categoria “miglior film d’animazione” agli Oscar di quest’anno. Si passa da Inside Out, gioiello Pixar che unisce un coloratissimo stile a una profondità psicologica mai vista prima, al disturbante e completamente adulto Anomalisa di Charlie Kaufman. E se anche i classici Disney come Frozen e Zootropolis regalano riflessioni di carattere identitario, sessuale e razziale, allora è chiaro che abbiamo bisogno di un nuovo paio di occhiali per analizzare l’animazione cinematografica. In questo graduale passaggio dell’animazione verso tematiche reali (da Persepolis a Valzer con Bashir) è curioso notare anche il procedimento inverso che riguarda il cinema dal vero che si circonda di mondi fantastici alla Star Wars e Avatar.

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In questa continua commistione di generi, Kung Fu Panda 3 vanta un carattere deciso che lo ha portato ad avere quella forza intrinseca che garantisce la visione a pubblici differenti. La storia di Po, amante sfegato del kung fu, nasce nel 2008 con un incredibile successo a livello mondiale (circa 633 milioni di dollari) che ha portato alla realizzazione di un sequel nel 2011. La Dreamworks è sempre stata più che abile a destreggiarsi con i sequel poiché sa trattare con astuzia e cura le sue creature animate che arrivano ad avere più titoli come ci dimostrano Shrek (fino al terzo film e non oltre) e Dragon Trainer.

Questo terzo capitolo era stato annunciato fin dalle scene finali di Kung Fu Panda 2 in cui viene mostrato il padre di Po in una terra paradisiaca abitata da panda. Po è ormai un guerriero dragone famoso e amato da tutti (con tanto di gadget e metagadget) ma il suo passato lo richiamerà a mettere in discussione il presente. Un nuovo nemico è alle porte e Po dovrà cercare la forza che risiede nell’essere “semplicemente chi si è” per affrontarlo. Kung Fu Panda è sempre stato un film che parlava di accettazione: una presa di coscienza che iniziò nel primo film, prosegue e raggiunge il suo coronamento con questo titolo.

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Il personaggio di Po è il fiore all’occhiello di un film in cui i personaggi vengono curati e studiati nei minimi dettagli come ci suggerisce Alessandro Carloni, regista della pellicola, alla Masterclass tenutasi a Roma: “è fondamentale creare dei buoni personaggi, anche prima della storia stessa” afferma Carloni. Po scopre con gradualità chi è e chi vuole essere, come avviene nei migliori racconti di formazione, grazie al suo carattere un po’ loser, vivace e determinato a non arrendersi mai. In Kung Fu Panda 3, verrà chiesto a Po di passare da allievo a insegnante e ciò lo riporterà alle incertezze e alle paure di incompetenza proprie del primo film. In questo viaggio (concreto e metaforico) il protagonista non sarà accompagnato dai suoi maestri di kung fu ma dai suoi maestri di vita: i suoi padri. Si esatto, due papà. La presenza di un padre adottivo (Mr Ping) e di un padre biologico (Li Chan) sembrerà un tema tristemente attuale per la politica italiana ma il regista ci spiega durante l’incontro romano che non ritiene la sua scelta particolarmente inusuale perché in America la famiglia mostrata in Kung Fu Panda 3 è una famiglia a tutti gli effetti, esattamente come le altre.

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Non scomoderemo parole dalle risonanze politiche come gender o stepchild adoption ma la presenza di due papà porterà alla luce l’essenziale concetto di amore incondizionato: un sentimento spiegato in maniera lineare e brillante senza sottolineare nulla con particolari attenzioni (un solo dialogo tra un’oca e un panda potrebbe mettere a tacere mesi e mesi di dibattiti della politica italiana). Il padre di Po impiega pochissimo a entrare nelle nostre grazie ma sarà Mr. Ping, da sempre il personaggio prediletto di chi scrive, che condurrà un  vero e proprio cammino parallelo a quello del protagonista: un padre che tra paure e paranoie imparerà a fare sempre le scelte migliori per suo figlio.

La narrazione scorre felicemente mantenendo tutto ciò che c’era di buono nei film precedenti (combattimenti spettacolari, insegnamenti saggi e gag esilaranti) con idee sempre innovative che non scardinano ma anzi approfondiscono la natura dei personaggi stessi.

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È un peccato che di questo film non riesca a convincerci il villain: probabilmente sarà colpa dello charme assoluto di Lord Shen (il cattivissimo pavone del secondo film), ma il guerriero Kai ha molto stile ma poca sostanza.

L’animazione è certamente cambiata e un panda dall’animo geek con due padri riesce a mostrarci che gli insegnamenti più importanti possono celarsi anche nell’animazione più colorata.

Matteo Illiano

PRO CONTRO
  • Riuscire a riprendere tutto il buono che ha portato al successo i film precedenti senza ripetersi.
  • Far concludere a Po un ciclo di maturazione ricco di insegnamenti.
  • Due padri e un solo figlio per spiegare con una brillante semplicità cosa vuol dire essere padre.
  • Un villain poco approfondito che sfigura dopo l’elegante pazzia di Lord Shen.
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Valutazione: 8.0/10 (su un totale di 1 voto)
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Kung Fu Panda 3, la recensione, 8.0 out of 10 based on 1 rating

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