La donna dello scrittore, la recensione

A Parigi lo spettro delle truppe tedesche è incombente come se la Francia fosse tornata agli anni della Seconda guerra mondiale. Eppure, Georg (interpretato da Franz Rogowski) è immerso in una città estremamente contemporanea, con vetture moderne che circolano per la strada e ambulanze che sfrecciano senza sosta, quando decide di fuggire a Marsiglia. Nella valigia ci sono carte e documenti appartenuti a Weidel, uno scrittore tedesco morto suicida per il terrore del momento storico, da cui ha memorizzato tutto il necessario per assumere la sua identità e trovare disperatamente la salvezza. Ma l’eredità del defunto scrittore gli porta in dote anche una complessa storia d’amore che andrà a sovrapporsi con la sua esistenza dilaniata.

Presentato in concorso alla 68° edizione della Berlinale, il film di Christian Petzold è un perfetto esempio di straniamento stimolante per lo spettatore. Il regista sceglie di non fare semplicemente un film storico, nascondendosi dietro alla ricostruzione e al costume, ma di calare una storia particolare nelle nostre immediate vicinanze, sia per le tensioni attuali che serpeggiano nel mondo sia per la condizione del passaggio forzato, un tema che trascende drammaticamente ogni ciclo storico.

la donna dello scrittore

La città di Marsiglia diventa quindi l’antesignano dell’aeroporto internazionale JFK di New York nel film The Terminal, Georg è il padre putativo di Viktor Navorski. Bloccati, sospesi in una sorta di non-esistenza, sono costretti a ricominciare una vita dal nulla, non per il proprio volere, ma Georg, in più, ricomincia da una bugia per riempire il vuoto intorno a sé e tutto ciò con cui entrerà in contatto a Marsiglia subirà il peso di questa realtà falsata, rendendo il protagonista una sorta di eroe tragico.

Il regista tedesco, pur rifacendosi dichiaratamente al romanzo di Anna Seghers Transit (che è anche il titolo originale del film), ha deciso di non utilizzare il racconto in prima persona della scrittrice, prendendo invece come modello la sceneggiatura di Kubrick in Barry Lindon, in cui un narratore osserva il suo protagonista e lo “ama” nonostante i suoi difetti. È un atteggiamento che inconsapevolmente sembrano avere molti dei personaggi del film nei confronti di Georg, a partire da Marie (interpretata da Paula Beer), creando un clima diffuso di compassione e drammaticità.

È difficile relazionarsi con una storia che pone l’accento già dal titolo su una misteriosa figura femminile. Nell’escamotage utilizzato da Petzold ha sicuramente un ruolo importante la storia d’amore di Georg/Weidel con la bella Marie, ma non è l’unico tema che il film propone e sviluppa, ne è così semplice nel contesto che viene creato scenograficamente. Unire tempi e spazi lontani nel tempo crea un corto-circuito visivo che crea un forte interrogativo nello spettatore, ma che alla lunga non combacia con la storia narrata. Certo, rimane un avvertimento, un campanello d’allarme del vento che spira nelle società occidentali, ma che si esaurisce presto tra le grinfie dell’amore, il vero luogo di transito che blocca ogni persona alla ricerca di un rifugio.

Andrea De Vinco

PRO CONTRO
La presenza fisica del cast Storia e tema finiscono per ostacolarsi
Il lavoro su scenografie e costumi Colonna sonora troppo blanda
VN:R_N [1.9.22_1171]
Valutazione: 6.0/10 (su un totale di 1 voto)
VN:F [1.9.22_1171]
Valutazione: 0 (da 0 voti)
La donna dello scrittore, la recensione, 6.0 out of 10 based on 1 rating

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.