La gente che sta bene, la recensione
L’avvocato Umberto Dorloni è fiero della sua vita. Già, perché lui è uno di quelli che ce l’ha fatta: uomo in carriera, con una bella famiglia e una bella casa nel cuore di Milano. Tutto va a gonfie vele per lui e termini come crisi finanziaria, tasse e precarietà sono solo paroline da articolo di giornale. Eppure, nel suo microcosmo perfetto, qualche cosa improvvisamente va storta e, una mattina come un’altra, riceve la lettera di licenziamento. Ma nulla è perduto, perché Umberto, di abbandonare il giro della “gente che sta bene”, proprio non ne vuole sapere e questa sua tenacia lo porta ad entrare in affari con Patrizio Azzesi, l’avvocato più potente della città, che gli promette un importante lavoro a Berlino. Ma se la carriera sembra aver raggiunto una nuova svolta decisiva, la vita privata di Umberto inizia ad andare a rotoli sempre di più.
Ad una settimana dall’uscita nelle sale italiane del notevole Tutta colpa di Freud di Paolo Genovese, approda sul grande schermo un altro film che vuol farsi portabandiera dell’attuale commedia tricolore. Ma al sentimentalismo classico, riscontrabile nel film di Genovese, viene preferito un linguaggio più insolito da commedia nera e decisamente amara.
Protagonista indiscussa dell’opera è la Milano di oggi, preda della crisi economica, che ha prodotto negli ultimi vent’anni una certa cultura, una certa società e soprattutto una precisa tipologia di personaggi: la gente che sta bene. Persone ciniche ed arriviste, pronte a tutto pur di abbracciare il successo, incapaci di perdere e convinte che il lavoro venga prima di ogni altra cosa, anche della famiglia. Questo è il mondo che ci viene descritto in La gente che sta bene, una commedia molto aspra che si prefigge il chiaro scopo di scuotere lo spettatore e fargli aprire gli occhi per vedere un’Italia moralmente degradata e vittima di una società che ha totalmente smarrito i propri valori etici. Lo scopo del film è sicuramente nobile, peccato che la confezione finale non lo sia altrettanto.
Alla base dell’opera c’è l’omonimo romanzo scritto dal trentacinquenne milanese Federico Baccomo Duchesne, che già si era fatto notare con il romanzo Studio Illegale da cui è stato tratto lo scorso anno il brutto film con Fabio Volo. Questa volta, Baccomo si prende anche la briga di trasformare il suo scritto in sceneggiatura e conferma come il suo nome non sia sinonimo di garanzia. Proprio come accaduto nel film con Volo, il problema più grande de La gente che sta bene risiede nel soggetto, davvero poco interessante, e nel linguaggio adottato che appare del tutto fuori luogo per una commedia. Troppo interesse, del tutto fine a se stesso, nel voler criticare e denunciare una determinata classe “alta” della Milano che crede di stare bene e ancora una volta rappresentata dal rampante ordine degli avvocati. Francesco Patierno (Cose dell’altro mondo), che tutto sommato è anche bravo a dirigere, svolge il compitino dimenticando totalmente di maneggiare una commedia e si fa prendere così tanto dal messaggio che vuole far arrivare da sfociare, nella seconda parte del film, nel dramma più assoluto (anche un po’ patetico), che lascia sconcerto negli occhi di chi guarda.
Una commedia che non diverte, senza ritmo e che, laddove ricerca risate e sorrisi, trova solo noia e sbadigli. Viene giocata male anche la carta finale del dramma, dal momento che il faccione buffo di Claudio Bisio, che continua ad interpretare lo stesso ruolo film dopo film, non riesce mai ad essere preso sul serio fino in fondo. A completare il cast troviamo una spaesata Margherita Buy alle prese con un personaggio monodimensionale, l’appariscente Jennipher Rodriguez pronta a testimoniare come in Italia non si sappiano scrivere ruoli femminili, un “cattivissimo” Diego Abatantuono che regge bene la scena e che rappresenta, assieme al piccolo cameo di Carlo Buccirosso, uno dei pochi motivi per cui si riesce a rimanere svegli e a fuggire dall’abbiocco costantemente in agguato.
Non può dirsi certo riuscita l’operazione di Patierno perché, tra i fiacchi duetti di Bisio e Abatantuono e improvvisi momenti drammatici, si finisce inevitabilmente per non accontentare nessun tipo di palato.
Giuliano Giacomelli
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