Le leggi del desiderio, la recensione

Silvio Muccino e la scrittrice Carla Vangelista sono una coppia “creativa” ormai assodata: dopo Parlami d’amore e Un altro mondo, hanno dato vita a Le leggi del desiderio, del quale Muccino è regista, co-sceneggiatore ed interprete. In questo caso, veste i panni di Giovanni Canton, un life coach diventato caso mediatico. Canton è idolatrato dai suoi numerosi fan, ma c’è anche chi lo considera un pagliaccio: per smentire quest’ultimi indice un concorso, in cui sceglierà tre fortunati per aiutarli a realizzare i propri desideri. Ma le cose non andranno esattamente come Canton aveva programmato, portandolo a confutare molte delle sue certezze.
L’atteggiamento arrogante e la pettinatura di Canton sembrano scimmiottare le caratteristiche di Frank Mackey, il bellissimo ruolo interpretato da Tom Cruise in Magnolia. Tuttavia, se quest’ultimo diede vita ad un personaggio complesso ed accattivante, Muccino, dal canto suo, non riesce a conferire alcuno spessore a Canton. Riecco, dunque, il solito cliché dell’uomo anaffettivo che pensa di avere la vita in pugno ma che, alla fine del film, imparerà finalmente ad amare.

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Nella scena iniziale del concorso, in cui si delinea la summa della filosofia di Canton, Muccino dovrebbe essere un vulcano di magnetismo. Suvvia! Se s’interpreta un tale trascinatore di folle, bisogna trasmettere energia, dipingere un uomo fuori dagli schemi! Invece il protagonista, se non l’intera scena, risultano francamente imbarazzanti, sottotono. Muccino sembra solo un giovinastro borioso finito sul palco per caso (la sua recitazione artificiosa certamente non aiuta). E no, non fa parte del ruolo dare un’idea iniziale di arroganza per poi rivelarsi un duro dal cuore tenero. C’è modo e modo di descrivere un personaggio odioso: può essere indimenticabile e ricco di sfaccettature, come Mackey, o anonimo, come Canton. Senza contare le “pillole di saggezza” che sciorina in quanto life coach; una matassa di frasi fatte che rimbambiscono lo spettatore dall’inizio alla fine del film.

Gli altri interpreti viaggiano tra stereotipi e contraddizioni di fondo: una delle vincitrici del concorso è Matilde (Nicole Grimaudo), carina ma insicura e amante del proprio capo (ma se il suo capo preferisce una donna “dominatrix”, perché mettersi con lei, così impacciata?). Naturalmente, tra lei e Giovanni Canton si instaurerà un rapporto che concilierà incomprensioni e confessioni a cuore aperto. Abbiamo poi Carla Signoris, che interpreta Luciana, segretaria di un vescovo di giorno e scrittrice di romanzi erotici di notte. Del tutto plausibile. Senza contare che i suoi libri sono trasgressivi quanto il più blando degli Harmony… Eppure ella viene tacciata di audacia. Infine, c’è Maurizio Mattioli, alias Ernesto, depositario della componente di denuncia sociale contemporanea (nel film interpreta un disoccupato colpito dalla crisi) e del fattore “risata”.

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Peccato non basti la sua verve da romanaccio per vivacizzare il film, incentrato sulla relazione che si sviluppa tra Matilde e Giovanni. A causa di questa scelta, le vicende di Luciana ed Ernesto prendono dei binari autonomi, risultando quasi slegati dal resto della storia. Dunque, i due comprimari servono solo a conferire effervescenza alla pellicola, la quale, nonostante ciò, affonda inesorabilmente verso la noia e la prevedibilità.

Non serve, infatti, essere esperti di commedie romantiche all’americana (l’intento di Muccino è di imitarne lo stile) per capire dove andrà a parare il finale. Purtroppo, di film simili se ne hanno le tasche piene: quante volte abbiamo visto la ragazza che da brutto anatroccolo si trasforma in cigno, o due personaggi che dapprima si odiano ma poi cadono l’uno nelle braccia nell’altra? Se Muccino avesse mutuato la briosità da tali film, anziché cadere in una trappola mediocre, avrebbe perlomeno realizzato una commedia più godibile.
Le leggi del desiderio è in sala dal 26 febbraio, distribuito da Medusa Film.

Giulia Sinceri

PRO CONTRO
  • L’idea di partenza, potenzialmente valida.
  • La recitazione artificiosa di Muccino.
  • Manca di ritmo, ma abbonda di retorica.
  • La prevedibilità regna sovrana.
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