Little Joe, la recensione

Il pane nutre il corpo, certo, ma i fiori nutrono l’anima”, recitava un celebre adagio attribuito a Maometto. Ma quando i fiori smettono di nutrire l’anima e cominciano a nutrirsi di essa, cosa accade? Una risposta potrebbe fornircela Jessica Hausner con Little Joe, favola distopica premiata a Cannes nel 2019 e ora nei cinema italiani grazie a Movies Inspired.

In un laboratorio londinese in cui si manipolano geneticamente piante, la biologa Alice Woodard crea Little Joe, un fiore cremisi che emette spore capaci di agire sul sistema emozionale umano, dall’odore in grado di creare benessere in chi gli sta vicino. Little Joe prende nome da Joe, figlio di Alice, a cui la donna regala proprio una piantina trovando un inaspettato interesse nel ragazzino. Ma forse non tutto è come sembra e Bella, una delle ricercatrici del laboratorio, dopo essersi vista costretta ad abbattere il suo cane che era entrato in contatto con le spore di Little Joe, sospetta che l’affascinante fiore terapeutico sia in realtà un pericoloso parassita capace di manipolare la mente umana.

C’è un’evidente influenza dalla fantascienza paranoica classica in Little Joe, quella che ha avuto il suo esempio più celebre e alto in L’invasione degli ultracorpi (1956) di Don Siegel, film al quale Jessica Hausner guarda spudoratamente nel costruire il sottile crescendo di sospetto che si instilla nella smarrita protagonista interpretata dalla brava Emily Beecham (Prix d’interprétation féminine a Cannes). È un soggetto molto accattivante quello da cui parte Little Joe, una parabola distopica sull’omologazione, sulla perdita di tratti personali, che utilizza il mondo vegetale per creare un nemico invisibile e quasi impercettibile per l’essere umano, un po’ come aveva fatto M. Night Shyamalan con E venne il giorno.

Little Joe

Il problema di Little Joe, però, è che un soggetto di tale intuizione e potenza non trova un adeguato sviluppo in sceneggiatura e la Hausner, che redige lo script a quattro mani insieme a Géraldine Bajard, sembra perdersi immediatamente in un pregevolissimo arzigogolo estetico senza curarsi più di tanto della costruzione tensiva dell’intreccio e della plausibilità narrativa generale.

Sono troppo semplici gli espedienti che portano avanti la storia, con frequenti spiegoni affidati al personaggio interpretato da Kerry Fox che, nonostante sia afflitta da depressione, sta sempre dieci passi avanti a tutti e un po’ come il Nicolas Cage de Il mistero dei templari, capisce al volo la situazione anche in assenza di prove concrete. Tanto corre la mente di Bella quanto va inesorabilmente lento il film, che, di fatto rimane immobile sul suo assunto di base. La sceneggiatura, infatti, ad un certo punto smette di svilupparsi, si blocca sul concept e non offre un’evoluzione narrativa degna di questo termine.

Little Joe

Ci sta che Jessica Hausner adotti i ritmi del cinema che possiamo considerare più autoriale e, visto il recente successo del cinema fantastico di questo tipo, le aspettative cominciano ad essere abbastanza alte quando il genere viene trattato con il linguaggio del cinema d’autore (basti pensare ai film di Ari Aster, Oz Perkins e Robert Eggers). Ma il problema di Little Joe è che la confezione va a sovrastare il contenuto (un contenuto potenzialmente ottimo, ribadiamo) e il discorso autoriale rimane, in fin dei conti, prettamente estetico lì dove trovi un film che narrativamente è un nulla di fatto che, in più, non riesce a trasmettere mai il senso tensione e inquietudine che invece è alla base del racconto.

E veniamo al fattore estetico di cui si è appena detto.

Little Joe

Jessica Hausner ha una visione ben precisa del cinema, che per lei è come una tela da riempire secondo il suo gusto del momento. Lo ha già fatto in passato, soprattutto con l’asettico Hotel (2004) e il pastello Amour Fou (2014), ma con Little Joe confeziona la sua opera più sperimentale, visivamente parlando. Inquadrature dalla geometria impeccabile, lenti carrelli laterali, colori totalizzanti che virano dal cremisi al bianco chirurgico con frequenti incursioni nel verde acqua e nel giallo ocra. Poi la musica dagli ossessivi suoni tipici del teatro kabuki, efficacemente utilizzata in maniera straniante per sottolineare tanto la quotidianità che i momenti di sospetto.

Insomma, se la Hausner avesse prestato attenzione al racconto tanto quanto ha fatto con la regia, staremmo a parlare di un gioiello del cinema fanta-paranoico, invece dobbiamo limitarci a osservare uno spettacolo tanto accattivante quanto sterile e noioso.

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • Visivamente parlando c’è una tecnica incredibile.
  • Molto brava Emily Beecham.
  • La sceneggiatura è particolarmente evanescente.
  • Non c’è ritmo, ne tensivo ne narrativo.
VN:R_N [1.9.22_1171]
Valutazione: 5.0/10 (su un totale di 1 voto)
VN:F [1.9.22_1171]
Valutazione: +1 (da 1 voto)
Little Joe, la recensione, 5.0 out of 10 based on 1 rating

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.