Lo schiaccianoci e i quattro regni, la recensione

C’è un’antica tradizione crossmediale legata alla fiaba de Lo Schiaccianoci, originariamente (1816) messo su carta dall’artista tedesco Ernst Theodor Amadeus Hoffmann con Lo schiaccianoci e il re dei topi, rielaborato da Alexandre Dumas nel 1844 con Storia di uno schiaccianoci e poi trasformato nel celebre balletto Lo schiaccianoci nel 1892, musicato da Pëtr Il’ič Čajkovskij. Una storia, dunque, che si estende dalla letteratura alla danza fino ad arrivare – appena la tecnologia lo consente – anche al cinema, omaggiato dalla Disney in Fantasia (1940) e più volte adattato per il cinema d’animazione, da La favola del principe schiaccianoci (1990) e Barbie e lo schiaccianoci (2001), fino alla disastrosa versione live action Lo schiaccianoci 3D (2010) con Elle Fanning e John Turturro.

Ora la favola di Hoffmann, sagacemente mista alla rivisitazione operistica, torna al cinema proprio grazie alla Disney che realizza una bizzarra avventura fantasy che si distacca molto dal già conosciuto. Così Lo schiaccianoci e i quattro regni reinventa la storia immaginata da Hoffmann e la inserisce in un contesto nuovo, perfettamente in linea con le esigenze fanta-spettacolari di Hollywood.

La giovane Clara si prepara per il canonico ballo a cui la sua famiglia partecipa ogni viglia di Natale. Ma questa volta non sarà come ogni anno, la mamma di Clara è morta da poco e il padre consegna alla ragazza e ai suoi fratelli i doni che la donna aveva preparato per i figli… tra questi, indirizzato proprio a Clara, c’è un misterioso uovo/scrigno accompagnato da un enigmatico biglietto, ma senza la chiave per aprirlo. Quando Clara, durante il ballo, trova la chiave, un topolino gliela ruba e nel seguirlo la ragazza si ritrova in un mondo fantastico dove la morte della Regina ha gettato nel caos i suoi abitanti.

Davvero poco rimane del racconto originale, completamente rielaborato per dar modo agli sceneggiatori Ashleigh Powell e Simon Beaufoy di creare una storia dal respiro cinematografico, facilmente ascrivibile alle moderne dinamiche del cinema fantasy e, perché no, serializzabile. Lo schiaccianoci diventa così una storia di crescita, di elaborazione del lutto, che porta la giovane protagonista a farsi carico delle proprie responsabilità per fare ingresso nel mondo degli adulti. Per far ciò, oltre ad utilizzare l’ingegno e le naturali doti logiche e l’abilità con la meccanica (ereditata dalla genitrice), dovrà anche far ricorso al coraggio, indispensabile per districarsi in un’avventura ai confini del possibile.

Facendo ricorso a un immaginario che tesse richiami narrativi e, spesso, visivi un po’ ingombranti, Lo schiaccianoci e i quattro regni somiglia spesso e troppo a successi relativamente recenti del genere. Il primo atto ricorda molto Alice nel Paese delle Meraviglie e, visto che si gioca in casa, all’adattamento burtoniano offre buoni spunti, soprattutto per quanto riguarda la descrizione della protagonista e il suo ingresso nel mondo fantastico, un mondo che poi richiama idealmente quello de Il Mago di Oz, ma più concretamente Le cronache di Narnia, inquadrando un ambiente in conflitto, reclamato da più casate e bisognoso di un nuovo condottiero per tornare all’ordine.

Davvero nulla di nuovo, dunque, con l’aggravante stavolta che al di là di una messa in scena sontuosa e visivamente accattivante manca una delle componenti fondamentali di questo tipo di film: il ritmo. Lo schiaccianoci e i quattro regni è piatto, perfino noioso, con personaggi poco interessanti (perché tutti già visti) e la mancanza di quel senso dell’avventura indispensabile per appassionare grandi e piccoli.

E infatti si fatica non poco a individuare il target reale di questo film, che appare poco accattivante e dai ritmi pesanti per un pubblico di bambini, ma anche infantile e noioso per un pubblico di adulti. Viene spontaneo pensare a un probabile nuovo flop per la casa di Topolino, il secondo in un anno dopo il terrificante Nelle pieghe del tempo, e preoccupante segnale che quando la Disney esce fuori dai binari dell’animazione e dei franchise collaudati, ha buone probabilità di mancare il bersaglio.

Con una gestazione un po’ travagliata, che ha visto l’alternanza di due registi, ovvero Lasse Hallström per la maggior parte delle riprese e Joe Johnston per gli oltre trenta giorni di riprese aggiuntive, Lo schiaccianoci e i quattro regni affida buona parte della riuscita attoriale alla giovane Mackenzie Foy, decisamente brava ed espressiva, contorniata da nomi celebri dello star system in quei ruoli un po’ così che servono giusto a batter cassa. Da Helen Mirren nel ruolo dell’ambigua Madre Cicogna, a Morgan Freeman nel piccolo e inutile ruolo di Drosselmeyer, con make-up imbarazzante. C’è anche Keira Knightley, nelle vesti pompose di Fata Confetta, quella tra i comprimari che ha il ruolo più stratificato e dal maggior minutaggio e anche quella che più crede nel progetto. Poi vi chiederete, ma in un film che si chiama Lo schiaccianoci e i quattro regni, dove sta lo schiaccianoci? C’è, ha il volto del giovane Jayden Fowora-Knight, indispensabile alla quota black del film, ed è assolutamente inutile a qualsiasi fine narrativo.

Insomma, è la Disney stessa a non crederci, lo si capisce dalla scelta di distribuire in un periodo come quello autunnale un film pensato per popolare la sale cinematografiche a Natale… e come darle torto? Lo schiaccianoci e i quattro regni non funziona, inciampa in mille problemi e nella sua elegante veste da cinema classico per ragazzi mostra il fianco, risultando solo fuori tempo massimo.

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • Visivamente sontuoso e con delle soluzioni scenografiche molto affascinanti.
  • MacKenzie Foy.
  • È una scopiazzatura di tante cose di successo viste nel cinema fantasy negli ultimi 15 anni… paradossalmente sarebbe stato più interessante vedere una trasposizione fedele de Lo schiaccianoci!
  • Non ha ritmo e si arriva a fatica svegli alla fine.
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