In a Lonely Place, la recensione

Scetticismo, diffidenza, curiosità ed entusiasmo: è questo il mix di sentimenti che accompagna la realizzazione e l’uscita di un film horror italiano, filone del quale siamo stati maestri per decenni. Una rinascita resa molto difficile non soltanto dalle conclamate difficoltà produttive, ma anche dalla mancanza di professionalità adeguate e un approccio da parte dei registi non sempre idoneo a dare una scossa definitiva in quanto a idee.

C’è chi, infatti, guarda troppo al passato riproponendo in tutto e per tutto gli schemi dei film dell’epoca d’oro e chi ancora cerca di copiare i film americani contemporanei di grande successo con l’unico risultato di tirar fuori prodotti posticci e poco originali. Ci sono poi altri che, al contrario, scelgono una strada del tutto personale ed originale, come fa Davide Montecchi che con la sua opera prima, dal titolo In a Lonely Place, realizza un horror psicologico molto crudo e disturbante che propone anche una riflessione sull’amore e sui significati e risvolti più profondi e al tempo stesso più inquietanti. Un esordio senza dubbio positivo e avvalorato ancora di più da una sceneggiatura solida e uno stile sicuro che riesce nella non facile impresa di conferire alla pellicola una veste di ampio respiro internazionale, lontano dalla media di ciò a cui siamo tristemente abituati negli ultimi anni.

L’esperto e rinomato fotografo Thomas convoca la giovane e avvenente modella Theresa per un set fotografico presso un isolato e fatiscente albergo di proprietà della sua famiglia. Ben presto, però, la ragazza scopre che l’uomo ha intenzioni che vanno ben al di là del semplice rapporto professionale e la tortura messa in atto da Thomas farà venire alla luce fantasmi del passato di entrambi i protagonisti.

Quella della pazzia per amore è una tematica che ha stuzzicato la fantasia di scrittori, artisti e registi di ogni tempo che si sono divertiti a raccontare gli effetti più estremi e dannosi di questo nobile sentimento. È un po’ quello che cerca di fare anche il giovane regista romagnolo attraverso la storia di Thomas e Theresa: due persone molto diverse tra di loro, ma simili nel loro modo di vivere la passione amorosa come un qualcosa di pericoloso e da evitare per non far riaffiorare la loro vera natura nascosta.

Si, perché il vero elemento di forte tensione è data proprio dalla lenta e progressiva scoperta dei caratteri e dei segreti di due protagonisti dai quali nascono numerosi colpi di scena a dir poco clamorosi. In questo, poi, Montecchi è molto aiutato dalle perfette interpretazioni dei due protagonisti Luigi Bisignani e Lucrezia Franquellucci (doppiata dall’attrice Barbara Sirotti) che si calano bene nelle proprie parti e danno forza ai personaggi con una recitazione impostata e ruvida il primo, e più delicata la seconda.

Anche le scelte tecniche e stilistiche si adeguano ai toni narrativi della storia con ripetuti flashback e un montaggio serrato, che riporta a diversi momenti della vicenda, che rendono al meglio l’idea di due menti contorte e in netta difficoltà nel ritrovare sé stessi all’interno di un percorso che dovrà condurli al vero amore, quello puro e senza alcun tipo di ipocrisie e voglia di offrire un’immagine di sé diversa da quella reale

Al netto di tutte queste considerazioni, In a Lonely Place è un film da classificare come di genere solo per l’utilizzo degli stilemi dell’horror psicologico, anche se sono del tutto assenti scene di sangue e violenza, ma che a tutti gli effetti è un dramma sull’amore e le sue conseguenze.

Vincenzo de Divitiis

PRO CONTRO
  • Una regia che dona al film una veste e un respiro internazionale.
  • Ottimi i due attori protagonisti.
  • Sceneggiatura solida e adeguata alla tematica raccontata.
  • Si poteva osare di più in quanto a scene di violenza e sangue.
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Valutazione: 7.0/10 (su un totale di 1 voto)
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Valutazione: +2 (da 2 voti)
In a Lonely Place, la recensione, 7.0 out of 10 based on 1 rating

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