Marilyn ha gli occhi neri, la recensione
Diego è un cuoco rinomato di mezza età, un vero perfezionista nel suo lavoro ma affetto da una sconfinata serie di disturbi comportamentali: ossessivo compulsivo, balbuziente cronico e soprattutto incapace di contenere le sue frequenti frustrazioni e scatti d’ira. Tutte queste imperfezioni caratteriali lo hanno condotto a perdere prima la famiglia e poi il lavoro. Ora Diego frequenta un centro di riabilitazione forzata ed è seguito da uno psichiatra che ha come obiettivo quello di placare le sue nevrosi e indirizzarlo verso il controllo dei suoi disturbi. Una delle attività del centro riabilitativo è quella di tenere impegnati i pazienti con servizi socialmente utili e così Diego, insieme ai suoi “compagni di riabilitazione”, si trova presto a dover gestire una piccola mensa che offre occasionalmente cibo agli anziani del quartiere. All’interno della brigata di cucina c’è anche Clara, mitomane e bugiarda cronica, pericolosamente instabile nelle relazioni interpersonali e convintissima di assomigliare a Marilyn Monroe. Tra Diego e Clara scatta subito una bizzarra sintonia e in breve tempo i due si convincono che possono trasformare la mensa sociale in un clandestino ristorante gourmet completamente gestito da personale affetto da disturbi psichiatrici.
Dopo Moglie e marito (2017) e Croce e delizia (2019), Simone Godano torna dietro la macchina da presa con una nuova commedia desiderosa di riflettere attorno al tema della “stranezza” intesa come diversità. Un percorso artistico – il suo – che fino ad ora ha offerto risultati piuttosto discutibili ma di certo non si può non riconoscere al giovane regista la capacità di portare avanti un discorso ben preciso e con una coerenza non indifferente. Un discorso che trova proprio in Marilyn ha gli occhi neri la sua massima espressione.
Il tema del “diverso”, infatti, era già posto alla base delle sue due opere precedenti. In Moglie e marito la diversità era esplicitata attraverso un concetto decisamente basico, quella che sussiste tra un uomo e una donna, mentre in Croce e delizia la diversità era intesa nell’accezione dell’identità sessuale.
Alla sua terza regia, sostenuta ancora una volta dalle fatiche produttive di Matteo Rovere e della sua Grøelandia, Simone Godano mette da parte escamotage fantasiosi e situazioni tipiche della più canonica commedia all’italiana per affondare le mani in una storia che lancia lo spettatore in una giostra impazzita popolata solo ed esclusivamente da persone diverse. Una diversità che questa volta si coniuga con i disturbi mentali e i disagi psicologici, una commedia filtrata attraverso gli occhi di chi vede il mondo da un’altra prospettiva. Ma anche, e soprattutto, un film che trasuda una smodata voglia di prendere le distanze da un certo modo di fare commedia in Italia per avvicinarsi maggiormente ad un modello di stampo statunitense.
Ne viene fuori un film a dir poco sorprendente, ad occhio e croce una delle commedie italiane più intelligenti e garbate degli ultimi tempi.
In Marilyn ha gli occhi neri Godano dimostra di aver acquisito una certa maturità artistica, una sicurezza nella gestione del racconto che ancora non aveva nelle sue opere precedenti, un film che si erige su una sceneggiatura impeccabile scritta ancora una volta da Giulia Steigerwalt (che ha fino ad ora firmato tutti i film del regista).
Marilyn ha gli occhi neri è un film così consapevole della sua bontà che non si preoccupa minimamente di cercar rifugio in situazioni dalla facile e scontata ilarità. Assolutamente no. Anzi, la comicità sembra proprio non essere tra le mire di Godano e Steigerwalt che firmano una commedia agrodolce che punta tutte le sue carte sui personaggi. E lo fa con successo, perché la scrittura è asciutta, molto rispettosa nei confronti della patologia (intesa come disturbo mentale) e capace di evadere da qualunque cliché o retorica gratuita. Marilyn ha gli occhi neri porta in scena un racconto che ruota quasi interamente attorno ai suoi due protagonisti, Diego e Clara, ma al tempo stesso riesce a donare un’apprezzabile tridimensionalità anche a tutti i personaggi secondari, tutti affetti da un preciso disturbo comportamentale ma tutti perfettamente inseriti nel racconto e capaci di svolgere il proprio ruolo per la riuscita dell’opera nel suo complesso.
Ma oltre ad una scrittura attenta ed una regia sicura, a fare la differenza ci pensa sicuramente il cast che vede in prima linea Stefano Accorsi e Miriam Leone (che tornano a lavorare insieme dopo la fortunata serie Sky sul mondo di Tangentopoli iniziata con 1992). Anche nella direzione degli attori, questa volta, si percepisce una certa finezza nel mestiere di Godano che riesce ad indirizzare i due interpreti versi una recitazione raffinata, fuori dai loro soliti schemi, ricca di sfumature e sempre ben equilibrata per non cadere nella facile macchietta. Se Miriam Leone svolge un lavoro eccelso nel delineare una ragazza instabile, dolce ma al tempo stesso pericolosa, è Stefano Accorsi ad emergere in modo preponderante e ad offrire una delle sue migliori performance di sempre. Con i suoi tic continui e le sue manie fuori controllo, Diego è una versione abbrutita e sgradevole del Nicolas Cage diretto da Ridley Scott ne Il genio della truffa.
Insomma, Marilyn ha gli occhi neri è l’ennesima dimostrazione che in casa Grøelandia c’è la voglia di fare davvero un cinema diverso, un cinema nuovo, un cinema che riesce ad essere originale anche quando si muove all’interno di canoni più classici per la cinematografia nostrana (la commedia, appunto). Godano riesce con estrema disinvoltura a firmare una commedia sui disturbi comportamentali dal carattere fortemente internazionale, delicata e capace di non cadere mai nella banalizzazione dei disturbi o in facili escamotage tutti da ridere.
Questa è la commedia italiana che ci piace.
Giualiano Giacomelli
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