One On One, la recensione

Una studentessa coreana viene rapita e assassinata da un gruppo di sicari, sotto ordine di alcune misteriose figure governative. Convinti di aver semplicemente eseguito un ordine come un altro, gli assassini vengono rapiti uno a uno da un gruppo di vigilantes chiamati Le Ombre, i quali li torturano al fine di estorcere un’ammissione di colpevolezza firmata col sangue.

Dopo esser stato rilasciato, uno dei membri comincia a indagare sulle vite dei suoi carnefici, cercando di scoprire la vera natura della gang.

In questa seconda metà della sua carriera, Kim Ki-Duk si riscopre nella violenza.

Dopo l’amplesso onirico e mediocre di Dream e il viaggio nella metamorfosi psicologica di Arirang, il Coreano è ritornato con il gusto per la vendetta.

Disciolte le atmosfere poetiche e surreali di Ferro3 e Time, i suoi più recenti film, Pietà e il geniale Moebius, hanno rivelato un’impronta narrativa decisamente più legata al dramma grottesco insanguinato, intinto come sempre nella grande tradizione del suo paese.

One on One prende spunto da un fatto di cronaca per narrare il malessere del regista nei confronti del suo paese, acquistando con forza una corrente politica… o quasi.

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Il perno su cui gira l’intera trama del film è l’atavico confronto tra Vittima/Carnefice e lo scambio di ruoli.

I cattivi vengono martellati, fulminati, malmenati e umiliati, le loro colpe strappate a forza e impresse nero su bianco; una fantasia di vendetta che, nei primissimi minuti, quasi richiama un flebile Sympathy for Mr. Vengeance,  di cui però Kim sembra volerne fare una versione più improntata alla critica sociale.

I buoni diventano cattivi, i cattivi buoni.

L’equilibrio delle classi, imprescindibile nella gerarchia, evidente nell’animo dei rispettivi membri, sembra fare capolino tra una scena e l’altra, sovrastato come sempre dalla bandiera della Corea del Sud. Poi saltano le stelline annerite sul petto di un generale, viene rivelata una mascherata come ogni altro e le colpe del Vittima/Carnefice sembrano riaffiorare come ferite inspiegabili.

La prima metà di One on One scorre lentamente, in un ritmo ormai celebre ai fan del Maestro, ma le sequenze presentate al suo interno sono irrorate di una ripetitività che manca completamente di estro narrativo o visivo.

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La fotografia digitale spiattella volti imbronciati su muri inumiditi, mentre volano parole e cazzotti. I membri dei sicari vengono rapiti e ognuno sottoposto allo stesso giro.

Domanda, risposta, tortura, domanda, risposta, colpa, saluti.

E anche se la figura del Carnefice è animata da un’ottima recitazione di Ma-Dong Seok, tutto il comparto risulta insipido e rimescolato dal passato filmico di Kim. La donna col marito ricco e violento, il ragazzino operaio stupido che si fa truffare, il maschietto sottomesso dalla famiglia.

Il gioco di smontare coloro che dovrebbero riportare giustizia risulta raramente intriso di un’ironia che non appaia forzata o quantomeno utile per un messaggio finale sull’intera storia, che di per se ha piccoli nuclei interessanti (reminescenti dello stile di Pietà e Moebius; costruzione scenica ai minimi storici e tutto lasciato allo sporco delle strade o le mediocrità degli uomini-topi) che non generano però un filone inizio-fine da lasciare soddisfatti del tempo passato nella Corea del Nord.

Anche la violenza, di solito estetizzata in canoni tremendamente asiatici nei film di Ki-Duk, appare senza mordente, fine a se stessa e del tutto incapace di generare anche un lieve shock o il celebre pugno nello stomaco a cui ormai fan e avventori casuali sono stati abituati.

Il sangue genera il sangue; il pensiero del ciclo perpetuo di Moebius si ripete ancora, ma non c’è evoluzione, e non sembra si tratti di una mancanza ricercata, nonostante il concetto di fondo.

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Per una filmografia dichiaratamente iniziata in reami spirituali, poetici e religiosi, la discesa in un desiderio politico appare un decisivo passo falso per Kim Ki-Duk, ed è un peccato, perché gli inizi lasciano promettere bene, almeno sulla carta.

L’assassinio viene mostrato con una leggerezza quasi annoiata nel bisogno di dare un incipit e con la generale confusione, sicuramente voluta, di non sapere se ci si trova davanti al mostro o alla vittima, anche un legame emotivo risulta impossibile per noi.

Forse il film narra di un sentimento presente solo nella Corea nordica contemporanea; forse sarebbe più corretto cambiare l’ipotesi di un desiderio in uno sfogo, ma nonostante tutto, One on One non spinge a fondo in nessun territorio, nemmeno in quelli già precedentemente collaudati.

Complice anche un doppiaggio italiano semplicemente imbarazzante, l’intera struttura scade nel ridicolo, e dai personaggi fino al regista stesso, accettare ciò che viene proposto sullo schermo con piena serietà risulta non solo impossibile, ma anche poco interessante.

Luca Malini

PRO CONTRO
  • Buone interpretazioni.
  • Alcune sequenze sono gradevoli e richiamano con forza precedenti film del maestro.

 

  • Trama ripetitiva.
  • Sviluppo poco coinvolgente e senza mordente.
  • Doppiaggio italiano ridicolo.

 

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Valutazione: 5.0/10 (su un totale di 1 voto)
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One On One, la recensione, 5.0 out of 10 based on 1 rating

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