Pearl, la recensione del prequel di X

Il settore del cinema è costellato di autori che, nonostante dotati di indubbie qualità e spiccata ispirazione artistica, vengono sottovalutati o poco considerati per motivi disparati: vuoi per l’incapacità di attrarre le masse, vuoi per la “colpa” di non riuscire mai a realizzare quel film che riesca a fargli compiere il definitivo salto di qualità. Uno dei casi più significativi, in tal senso, è quello di Ti West, regista statunitense da anni sulla bocca di tanti cultori del genere horror grazie a numerosi apprezzabili lavori (The Sacrament, The Inkeepers, The House of the Devil), ma che soltanto di recente è riuscito a imporsi come uno dei nomi di spicco della scena horror contemporanea. Salto di qualità avvenuto nel 2022 con X – A Sexy Horror Story, nel quale West si lascia andare ad un sincero e accorato omaggio al cinema horror politico e verace degli anni Settanta, con uno slasher rurale dall’alto contenuto splatter, ma tutt’altro che privo di contenuti e riflessioni sui personaggi e sul mondo del cinema in generale.

A distanza di meno di un anno, l’autore americano ripercorre la strada di questo suo grande successo con Pearl, prequel del precedente film, stavolta incentrato sulla figura dell’inquietante anziana campagnola che nel primo capitolo si erge a sanguinaria e spietata killer.

Questa nuova opera, scritta insieme all’attrice protagonista Mia Goth, la quale offre una magistrale prova recitativa nel ruolo proprio della giovane Pearl, si pone come un horror del tutto diverso dal suo predecessore in quanto si spoglia dei panni dello slasher, per indossare quelli di un dramma psicologico, con tanto di accurata analisi di una personalità complessa e rancorosa. Un lavoro, quello di Ti West, che intende trasmettere inquietudine basandosi sulla dicotomia tra i sogni della protagonista, legati al mondo patinato dello spettacolo e della danza, e la vita reale fatta di problemi familiari, una pandemia e il primo conflitto bellico. Terrore che corrode l’animo di Pearl, ma al tempo stesso risulta molto vicino allo spettatore al quale, almeno una volta nella vita, è capitato di reprimere i sogni, le ambizioni e le pulsioni di ogni tipo non sempre permesse dalla morale comune e aderenti alle dinamiche della realtà circostante.

Stati Uniti, 1918. Mentre il mondo è afflitto da una terribile pandemia e dalla Prima Guerra Mondiale, la giovane Pearl trascorre le sue giornate nella casa di campagna insieme ai suoi genitori e con dentro di sé il grande sogno di diventare una star del cinema e della danza. Le sue ambizioni, tuttavia, vanno a cozzare con una situazione familiare tutt’altro che rosea: da un lato c’è un padre infermo da curare, dall’altro una madre che tenta di reprimere le passioni della figlia e riportarla ai suoi doveri di donna. Tale situazione, però, anziché risvegliare in Pearl un senso di responsabilità e di aderenza alla realtà, scatena in lei una rabbia repressa negli anni che sfocia in una violenza incontrollata che travolge chiunque si trovi davanti al suo cammino.

Pearl, dunque, è un film che parla di desiderio di libertà, di affermazione professionale e, soprattutto, delle catene che impediscono alla protagonista di realizzare i propri sogni e condurre la sua vita come vorrebbe in tutti suoi ambiti, anche quello sessuale e sentimentale.

Il plot ideato da Ti West e Mia Goth, fermenta a poco a poco, cresce di intensità e di ritmo con il passare dei minuti, fino a scoppiare in tutta la sua forza in una seconda metà del film che proietta sullo schermo una rabbia incontrollata, ma per certi versi motivata, foriera di morte e torture indicibili, inflitte da Pearl a coloro che le hanno messo le suddette catene. Per raggiungere tale risultato, la sceneggiatura si concentra sullo sviluppo psicologico della giovane, il suo rapporto con il prossimo e sulla sua voglia di arrivare e di diventare una donna rivoluzionaria per la sua epoca, nella quale una giovane della sua età doveva sposarsi e occuparsi delle faccende domestiche. Il tutto inserito all’interno di una realtà circostante sconquassata dalla febbre “spagnola” e dalle bombe della guerra.

Un quadro contrastante e inconciliabile che trova la sua perfetta traduzione in immagini in quella che è da considerarsi la scena madre del film: quella dell’audizione di Pearl. Qui Ti West confeziona un piccolo gioiello di regia, con la protagonista che esordisce con un viso raggiante e sognante mentre danza sullo sfondo di bombardamenti e fuochi d’artificio, per poi assumere toni e mimiche facciali intrise di rabbia, rancore e istinti minacciosi.

Tale caratterizzazione così accurata e approfondita finisce per trasformare gli altri personaggi in semplici figure di contorno, funzionali all’intento principale del regista e allo sviluppo dell’intreccio, nonché di mettere in secondo piano le dinamiche più prettamente horror ridotte a semplice punta dell’iceberg della follia di Pearl.

Omicidi efferati, sofferenze inflitte con cinismo estremo, dunque, paradossalmente colpiscono in tono minore rispetto a ciò a cui il pubblico assiste per gran parte della visione, segno che il regista americano riesce nell’obiettivo di imbastire un film del terrore piscologico efficace e destinato a restare impresso nella mente.

Pearl, in conclusione, raggiunge gli stessi obiettivi di X – A Sexy Horror Story, ma con approccio e modalità diverse: spaventa al punto giusto, offre spunti di riflessione e riesce a tenere sempre viva l’attenzione di chi guarda.

Vincenzo de Divitiis

PRO CONTRO
  • L’evoluzione psicologica e caratteriale della protagonista è ben descritta in ogni minimo dettaglio.
  • Personaggi secondari funzionali allo sviluppo della storia.
  • Sceneggiatura solida e sempre coerente.
  • Chi si aspetta uno slasher e una sfilata di omicidi come il primo film potrebbe rimanere deluso.
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