Peter Rabbit 2 – Un birbante in fuga, la recensione

A tre anni di distanza dal primo film (un tempo che sarebbe stato senz’altro più breve se non ci fosse stata la pandemia di mezzo), torna il simpaticissimo e dispettoso coniglietto antropomorfo con la giacca blu: Peter Rabbit. Ma non è solo, ovviamente, e così con lui tornano anche le sorelle Flopsy, Mopsy e Coda-Tonda così come il saggio ma goffo cugino Banjamin e tutta l’allargata gang del bosco. Accanto a loro, la sempre amorevole Bea (Rose Byrne) e lo sfortunato Thomas McGregor (Domhnall Gleeson) ma anche tanti nuovi personaggi pronti a confermare le ormai consolidate regole di un sequel: più personaggi, più azione e più ambizioni. Squadra che vince non si cambia, lo sanno tutti, e così dopo il successo inaspettato del primo film, l’intero cast viene riunito nuovamente sotto la regia di Will Gluck.

Peter Rabbit e Thomas McGregor hanno finalmente trovato un accordo di pace. Un accordo necessario da raggiungere perché ormai sono diventati una bizzarra famiglia. Bea e Thomas si sono sposati, vivono sotto lo stesso tetto e insieme si prendono cura di Peter e gli altri coniglietti. Sia Thomas che Bea hanno realizzato i propri sogni: il primo è riuscito ad aprire un negozio di giocattoli e la seconda ha pubblicato il suo primo libro illustrato per bambini, un libro pedagogico ispirato a Peter e gli altri simpatici animali del bosco.

Diventato un inaspettato successo, il libro di Bea attira l’attenzione di Nigel Basil Jones (David Oyelowo), un importante editore londinese intenzionato a sfruttare e strutturare il successo dell’opera di Bea. Perché accontentarsi di un solo libro? Peter e gli altri animali possono diventare i beniamini di una collana di libri, ma anche i protagonisti di un film ispirato ai libri così come oggetto di tanto merchandising di successo. Questo è il piano di Nigel, un piano indubbiamente appetibile per Bea e Thomas. Ma affinché l’operazione editoriale possa essere un successo assicurato, Nigel suggerisce a Bea di lavorare meglio sul carattere dei suoi personaggi e trasformare Peter Rabbit nel cattivo della vicenda. O, per meglio dire, nella “Mela Marcia”  della situazione. Questa cosa fa sprofondare Peter in una depressione esistenziale che, improvvisamente, inizia a sentirsi non capito e comincia a riflettere sul suo carattere esuberante troppo spesso frainteso. Durante una fuga di riflessione per le strade della caotica Londra, Peter incontra Barnabas, un anziano coniglio che si guadagna da vivere come può e che sostiene di esser stato amico del papà di Peter. Tra i due nasce un’intesa immediata così che Barnabas, stupito dalle doti del coniglio con la giacca blu, decide di coinvolgerlo in una rapina che sta escogitando da tempo ai danni del Mercato dei Contadini. Ma il colpo è importante e pericoloso, quindi Barnabas e Peter dovranno mettere in piedi una vera e propria banda.

Come è facilmente intuibile dal ricco plot, Peter Rabbit 2 – Un birbante in fuga abbandona il carattere minimalista che aveva caratterizzato il primo film (ambientato quasi interamente nella piccola fattoria McGregor) per abbracciare un respiro decisamente più ampio in cui sono presenti ben due storylines differenti: quella dello sfruttamento commerciale dell’opera letteraria di Bea e quella della banda di criminali capitanata dall’anziano Barnabas. Due trame nettamente distinte ma che, grazie ad una scrittura attenta ad opera dello stesso Gluck e di Patrick Burleigh, riescono a fondersi magistralmente dal momento che una diventa la diretta conseguenza dell’altra. Ed è proprio in questo, infatti, che Peter Rabbit 2 riesce a dare il suo meglio, nella scrittura, che dimostra di esser stata oggetto di un’attenta riflessione finalizzata a portare sul mercato un sequel capace di approfondire quanto seminato nel primo film; un sequel che aggiunge senza replicare; un sequel particolarmente interessato a riflettere sui caratteri dei suoi personaggi anziché abbandonarsi a futili sketch comici (problema che attanaglia moltissimi seguiti, quest’ultimo).

A differenza di quanto viene raccontato nel film, Peter Rabbit 2 – Un birbante in fuga riesce ad evitare la “corruzione del mercato” e così Will Gluck confeziona un seguito coerente all’operazione originale, che ne conserva lo spirito e dunque la personalità esuberante. Proprio come nel primo film, infatti, anche qui ci troviamo alle prese con una commedia che fa ampio uso del linguaggio della slapstick comedy, con situazioni – quasi sempre cattive – portate all’eccesso, votate all’assurdo, così da rendere il film un vero e proprio cartone animato in live action capace di far divertire i ragazzini ma anche di intrattenere benissimo i più grandi.

Tra situazioni spesso divertenti, un ritmo incalzante ed una morale di fondo che comunque non può mancare in un prodotto del genere, ciò che colpisce (e ancora una volta il merito alla scrittura) è una ricercata intelligenza di fondo che ammanta l’intera pellicola, grazie soprattutto alla storyline di Bea e il suo successo editoriale. Non solo perché questo diventa il presto per poter lanciare frecciatine per nulla velate al corrotto mondo editoriale, cinematografico e pubblicitario (la battuta legata a Winnie the Pooh è deliziosa, a tal proposito) ma soprattutto perché, così facendo, il film si trasforma in un anomalo e schizofrenico prodotto che trae ispirazione dal materiale letterario di Beatrix Potter (l’autrice reale dei racconti di Peter Rabbit) diventando lentamente anche un film sulla vita di Beatrix Potter. Grazie ad un discorso squisitamente meta-letterario, infatti, la protagonista umana Bea diventa sempre più chiaramente Beatrix Potter così da genere una deliziosa operazione in cui l’elemento fantastico si fonde al biopic e in cui la Creatrice a la Creatura agiscono insieme, abbattendo qualunque meta-parete tra realtà e opera letteraria.

Un’operazione indubbiamente affascinante che non può fare altro che elevare la saga dedicata a Peter Rabbit in qualcosa di molto più complesso che un semplice prodotto per bambini o per famiglie. Così come, sempre restando sul tema, non può che far sorridere la battuta che chiude il film pronta a diventare un vero e proprio atto di coscienza e in cui il meta-letterario si fa anche meta-cinematografico.

Con il ricorso ad una computer graphic pressoché perfetta, ancora più dettagliata e sbalorditiva del precedente, Peter Rabbit 2 – Un birbante in fuga si rivela un seguito esemplare e indubbiamente riuscito. Di certo non all’altezza del primo, che aveva una freschezza di fondo da far invidia, momenti comici particolarmente ispirati ma anche una nota di dolcezza che qui purtroppo manca, ma comunque Will Gluck riesce nel tentativo di dare un seguito di qualità a quell’inaspettato successo del 2018 amato dal pubblico e lodato dalla critica. Adesso non resta altro da fare che mettersi comodi e aspettare il terzo capitolo della saga.

Arriverà senz’altro.

Giuliano Giacomelli

PRO CONTRO
  • Will Gluck confeziona un sequel di qualità che mantiene intatto lo spirito del primo “Peter Rabbit”.
  • La storia evolve in una direzione originale e senza ripetere le dinamiche raccontate nel primo film, dando particolare risalto alla dimensione introspettiva di Peter Rabbit.
  • Ancora una volta, una slapstick comedy perfetta per i bambini ma adatta anche agli adulti.
  • Un linguaggio meta-letterario e meta-cinematografico particolarmente intelligente.
  • Momenti comici e situazioni irriverenti meno ispirate rispetto a quelle del primo film.
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