Renegades – Commando d’assalto, la recensione
Ah, il buon cinema avventuroso di una volta… quando i buoni erano buoni, i cattivi spregevoli, la storia d’amore faceva capolino tra una sparatoria e un inseguimento e trionfavano i buoni sentimenti, sempre e comunque. Renegades – Commando d’assalto punta proprio a quell’idea di cinema di genere d’antan che negli anni è andato a perdersi, a causa di un pubblico più smaliziato che ha trovato nella contaminazione dei caratteri dei personaggi e nella grandiosità dell’azione e degli effetti speciali un nuovo gusto per lo spettacolo di genere. Eppure il tenace Luc Besson, reduce dal non esaltante (in termini di botteghino) Valerian e la città dei mille pianeti, sogna di ridare corpo a quel cinema lì, almeno idealmente, e così scrive e produce un action-bellico dal sapore avventuroso che ricorda proprio il cinema di una volta.
In Renegades – Commando d’assalto si racconta la storia di un manipolo di Navy Seal che in Bosnia, durante la guerra dell’Ex-Jugoslavia, prende delle iniziative un po’ avventate che li porta alla sospensione dalla loro missione a Sarajevo. Ma il richiamo per l’azione non tarda ad arrivare e uno di loro apprende da una cameriera della zona, con la quale ha una relazione, che in un lago vicino c’è la vecchia città sommersa dove sono nascosti una quantità di lingotti d’oro che potrebbe sistemarli a vita e dare una dignità anche agli abitanti locali che hanno visto le loro vite stravolte dalla guerra. Si tratta di oro francese, che durante la seconda guerra mondiale fu rubato dai nazisti e nascosto in una cassaforte prima che la città venisse allagata.
Al timone di Renegades – Commando d’assalto troviamo Steven Quale, protetto di James Cameron e già regista dei pregevolissimi Final Destination 5 e Into the Storm, che dà il meglio di se nella messa in scena delle sequenze subacquee su cui si incentra la seconda parte del film. Perché se c’è una linea guida per riuscire a godersi Renegades – Commando d’assalto è spegnere il cervello, non farsi troppe domande e godersi lo spettacolo d’azione che comunque sa offrire dei momenti riusciti.
L’introduzione coi i Navy Seal gettati in un inseguimento in carro armato tra le strade di Sarajevo ha quel sapore pop-spaccone che si fa voler bene, così come l’ultimo atto del film che si ambienta quasi totalmente nelle profondità del lago ha un’indubbia efficacia. Quello che invece lascia perplessi è che attorno a questi momenti riusciti c’è il nulla.
I personaggi non hanno spessore e si affidano a caratteristiche infantili per distinguerli uno dall’altro (c’è quello intelligente, quello romantico, il leader, quello simpatico… cioè, tipo le tartarughe ninja!), il buonismo di fondo percepibile fin dall’inizio arriva a dare il suo massimo nell’epilogo, che sembra davvero partorito in tempi passati per uno slot da tv dei ragazzi. Poi c’è un cattivo evanescente, senza il minimo di personalità e pronto ad entrare in azione in sparuti momenti solo per ricordare la sua presenza; non manca il solito Ewen Bremner che, esattamente come accadeva in Wonder Woman, è il soldato (aviatore, per l’esattezza) buffone che fornisce un supporto al gruppo di eroi.
A salvare la baracca dei personaggi c’è solo J.K. Simmons, che interpreta il colonnello Jacob Levin, che sembra la versione bonaria e paterna del personaggio che interpretava in Whiplash.
A completare il cast vale la pena di segnalare Sylvia Hoeks, in sala in questi giorni con Blade Runner 2049, nei panni della bella cameriera jugoslava, e Sullivan Stapleton, protagonista della serie tv Blindspot e visto in 300 – L’alba di un Impero, che impersona il leader dei Navy Seal.
Insomma, parliamoci chiaro, Renegades – Commando d’assalto è proprio robetta… di quella che si vede volentieri in una prima serata televisiva e si dimentica molto in fretta. Tra le produzioni della EuropaCorp di Besson è stato fatto molto meglio…
Roberto Giacomelli
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