Motherless Brooklyn – I segreti di una città, la recensione
Artista completo che in veste di attore non vediamo in ruolo di rilievo al cinema dal 2014, quando spalleggiava Michael Keaton in Birdman, Edward Norton ha esordito come regista nel 2000 con Tentazioni d’amore e ora firma la sua seconda opera dietro la macchina da presa, la prima anche come sceneggiatore: Motherless Brooklyn – I segreti di una città.
Lo scopo primario di Norton è omaggiare la detective story classica, quella ha che spopolato su carta stampata tra gli anni ’20 e gli anni ’50 e, tra i ’40 e i ‘50, mieteva successi anche al cinema. Per raggiungere questo obiettivo, curiosamente, l’autore prende un romanzo di Jonathan Lethem che però non si ambienta nella New York di metà Novecento come il film, ma in epoca contemporanea. Dunque, tra Hammett e Chandler, John Huston e Roman Polanski, Edward Norton imbastisce un discorso cinefilo che omaggia il genere noir cercando però di inserire riflessioni personali che sfiorano anche l’attualità.
Nella New York degli anni ’50 viene assassinato a sangue freddo il detective privato Frank Minna proprio nel mezzo di un’indagine. A soccorrerlo senza successo è il suo fidato amico e collaboratore Lionel Essrog, detective dalle incredibili qualità mnemoniche e logiche ma affetto anche da sindrome di Tourette. Sarà proprio Lionel a portare avanti l’indagine di Frank, cercando di scoprire anche chi si nasconde dietro la sua morte.
Privo della forza evocativa di L.A. Confidential ma ben più pregnante di quei filmetti che strizzano l’occhio al noir come il recente London Fields, Motherles Brooklyn vuole conformarsi e allo stesso tempo distinguersi dalla massa e quest’ultimo obiettivo lo persegue grazie al protagonista, un inedito detective affetto dalla sindrome di Tourette che lo rende impacciato e “strambo”. Con i suoi tic, gli improvvisi versi e gli sproloqui che lo rendono inopportuno, Lionel sarebbe l’ultima persona in grado di portare avanti con successo un mestiere dove la discrezione la forza di passare inosservato sono requisiti indispensabili. Invece Lionel, nonostante un evidente handicap, coglie tutti gli aspetti positivi della sua condizione ne fa quasi un “superpotere”. La sfida per l’uomo, oltre che risolvere il caso, è proprio superare le difficoltà che la vita quotidiana gli riserva, riuscirsi a esprimere (quasi) normalmente con l’aiuto di un chewingum o la marjuana, che riesce a distenderlo nei momenti di maggiore agitazione. Inoltre, da “diverso”, quindi emarginato, Lionel riesce a stabile un’intesa particolare con Laura, attivista per i diritti degli afroamericani che sembra essere la chiave per risolvere il mistero.
E qui c’è la chiave di volta del (libero) adattamento che Norton ha effettuato sull’opera di Lethem. Ambientando la vicenda negli anni ’50, oltre che ripercorrere il discorso evergreen della speculazione edilizia e la corruzione politica, può affrontare con naturalezza il tema del razzismo, visto come emarginazione in una Brooklyn in pieno fermento da inclusività razziale. La gente di Harlem che reclama i propri diritti da esseri umani, i jazz club frequentati da soli neri, l’onta delle relazioni interraziali… questioni sotto gli occhi di tutti che allo stesso tempo sembrano prossime ad essere lasciate alle spalle da una città che rincorre il progresso. Una bella contestualizzazione che aiuta (e non poco) anche il personaggio del protagonista a crescere narrativamente e a intessere un parallelismo per nulla scontato.
Sembra quasi ovvio sottolinearlo, ma la riuscita di Motherless Brooklyn deve moltissimo alle ottime performance di tutto il cast e se Norton prende il ruolo del protagonista, aggiungendo alla sua collezione un altro personaggio borderline che si barcamena tra disagio fisico e mentale, il cast di comprimari è notevole, a cominciare dalla bravissima Gugu Mbatha-Raw, vista in The Cloverfield Paradox e La bella e la bestia. Ma troviamo in ruoli di peso anche Alec Baldwin e Willem Dafoe, Bobby Cannavale e Bruce Willis, vero deus ex machina dietro tutto il film, in quanto volto del detective mentore di Lionel, Frank Minna.
Efficacissimo l’uso della colonna sonora di Daniel Pemberton, un mix di diversi stili di jazz usato sia a livello diegetico che extradiegetico, a cui si aggiunge il contributo di Thom Yorke, con un brano inedito per il film.
In quanto legato a doppio nodo con la tradizione della detective story di metà ‘900, Motherless Brooklyn ne assorbe tutti gli elementi che l’hanno resa un genere, compresa una trama intricata che si dipana un poco alla volta, a mano a mano che il protagonista coglie elementi utili a dare un senso agli eventi. Per i meno avvezzi al genere sicuramente questo pedissequo legame alla struttura narrativa dell’hardboiled classico può essere un problema nel tenere le fila del discorso, ma con un po’ di pazienza tutte i nodi vengono al pettine e la sceneggiatura ha comunque il pregio di sottolineare gli snodi chiave in modo da rendere la storia comprensibile a chiunque. Unico appunto che gli si può muovere contro è una certa prolissità nella parte centrale, sicuramente utile per stabilire un’intesa tra Lionel e Laura ma, a tratti, anche ridondante e colpevole di rallentare un ritmo altrimenti sempre altissimo, figlio – questo – dell’action movie moderno.
Insomma, una notevole opera seconda per il buon Norton che rinverdisce i fasti di certo cinema ormai estinto ma ancora permeato da un innegabile fascino.
Motherless Brooklyn – I segreti di una città è stato il film di apertura della 14^ Festa del Cinema di Roma e arriverà nei cinema italiani dal 7 novembre distribuito da Warner Bros.
Roberto Giacomelli
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