Scappo a casa, la recensione
Costantemente stressato, calvo ed impiegato in una piccola officina di Milano, Michele non è quella che potremmo definire una “bella persona”. È un uomo che vive di pregiudizi, praticamente verso tutti, e sui social network si diverte a re-inventarsi come un ricco seduttore, vanitoso e vanesio. In particolar modo Michele detesta i “negri” che, in base ad una sua personalissima selezione naturale, sono persone inferiori e come tali vanno trattati. Ma il destino ha in servo per lui un crudelissimo scherzo. Recatosi a Budapest per una vacanza di piacere, Michele viene accidentalmente derubato di tutti i suoi averi e così, senza soldi né documenti, viene scambiato dalla polizia locale per un immigrato tunisino. Per Michele inizia una travagliata fuga verso casa e proprio come i clandestini che ha sempre odiato, anche lui dovrà inventarsi mille peripezie per entrare “illegalmente” nel suo Paese. Affinché il suo viaggio abbia successo, Michele è costretto ad unirsi con il medico Mugambi e la bella Babelle, due nigeriani diretti in Italia.
Quello che stiamo vivendo è un periodo molto delicato che passerà inevitabilmente alla Storia in fatto di intolleranza razziale. La questione “accoglienza” è diventata un serio problema capace di dividere drasticamente l’opinione pubblica e con sempre maggior frequenza, a torto o a ragione, continuiamo a sentir dire che il popolo italiano è un popolo di “razzisti”.
Se è vero, perciò, che sin dai suoi albori la Settima Arte si lascia ispirare dal quotidiano, allora va da se che di fronte ad un tema così “spinoso” il cinema non se ne può certo stare a guardare senza fornire un valido contributo alla causa.
Ogni cinematografia utilizza le proprie armi e quella italiana non può far altro che ripiegare sui meccanismi divertiti e divertenti della commedia.
Esattamente un anno fa approdava sui nostri schermi il brutto e buonista Contromano, diretto e interpretata da Antonio Albanese. Un’opera decisamente maldestra e interessata a raccontare attraverso la (fiacca) risata proprio quest’intolleranza tutta italiana nei confronti di uno “straniero” sempre più invadente e prepotente. Buone le intenzioni ma scarsi i risultati.
Adesso tocca a Enrico Lando (I soliti idioti, Quel bravo ragazzo) parlare di intolleranza razziale e lo fa con Scappo a casa, una commedia dai tratti surreali che desidera raccontare e deridere l’Italia di oggi, mettendo alla berlina quell’italiano medio che diviene la sintesi perfetta di una serie inquantificabile di contraddizioni e di ignoranze.
Il protagonista del film di Lando, infatti, altro non è che un razzista convinto e fiero di esserlo. Un uomo dai valori morali pressoché nulli, fermamente convinto della superiorità della razza occidentale e fortemente ostile verso tutti coloro che sono diversi da lui. Al tempo stesso, però, anche lui è diverso da ciò che “ammira” e infatti, per potersi sentire adeguato e appagato, non fa altro che vivere di menzogne sui social network, spacciandosi per tutto ciò che non è: bello, elegante, ricco e vincente.
Per farla breve, uno di quei meschini che Dante Alighieri si sarebbe divertito a collocare all’interno di qualche girone infernale sottoponendolo alla spietata legge del contrappasso. Ed infatti è proprio questo ciò che avviene.
Se per contenuti, furbescamente, il film di Enrico Lando sceglie strade sicure, è sulla scelta del protagonista che si accetta di correre qualche rischio.
Michele, il protagonista di Scappo a casa, ha infatti il volto e la mimica di Aldo Baglio che proprio con questo film esordisce come “solista” nella speranza di dimostrare – tanto a sé quanto agli altri – di potercela fare anche senza il prezioso supporto dei suoi due storici compagni d’avventura, Giovanni Storti e Giacomo Poretti.
Porre Aldo Baglio al centro di un racconto come questo appare più che mai vincente, almeno in teoria, poiché da “terrone” immigrato al nord Italia non può far altro che accrescere ironicamente quella contraddizione di cui si diceva e che diventa il tratto distintivo del protagonista del film. Tuttavia le potenzialità di Aldo Baglio al timone di un progetto come questo, purtroppo, si esauriscono qui e a malincuore bisogna riconoscere che il comico siciliano non ha il giusto carisma per poter reggere sulle proprie spalle un intero film comico.
Aldo Baglio è un mattatore della risata di indiscusso talento, su questo non c’è dubbio, e con il trio Aldo, Giovanni e Giacomo ha sicuramente rappresentato il meglio della comicità italiana tra la fine degli anni novanta e i primi del duemila. Ma evidentemente, come ci si rende subito conto guardando Scappo a casa, è una stella che brilla di luce riflessa. Un comico che riesce a dare il meglio di sé solo quando adempie alla funzione di “spalla”, dunque quando c’è una controparte “seria” da ridicolizzare. Qui purtroppo ciò non avviene e si avverte continuamente un certo disagio da parte del comico nel non avere qualcuno su cui appoggiarsi. Tanto che, nel momento in cui il film assume dei tratti vagamente corali, Aldo Baglio pur rimanendo protagonista diventa al tempo stesso la spalla di Jacky Ido, il nigeriano suo compagno d’avventure che pur non essendo comico finisce per rubargli la scena di continuo.
C’è da dire, tuttavia, che anche lo script non aiuta molto. Anzi, tutt’altro. Scritta dallo stesso Baglio, assieme a Valerio Bariletti e Morgan Bertacca, la sceneggiatura è un concentrato di situazioni viste e riviste, tenute assieme da tante, troppe soluzioni inverosimili e forzate che danno al film quel tocco di ingenuità di cui sarebbe stato bene fare a meno.
Tutto ciò finisce per ripercuotersi negativamente sul ritmo dell’intera opera. Tolti un paio di momenti, uno in particolare che ricorda molto l’umorismo del trio, Scappo a casa è una commedia spaventosamente sottotono. Per tutta la durata si prova goffamente ad inseguire la risata con battute e situazioni talvolta sciocche e talvolta insipide. Il tutto è destinato a peggiorare nel finale, con il subentro di un’improbabile sottotrama thriller ed una conclusione decisamente deludente.
Preferiamo ricordare Aldo Baglio seduto su quella sedia del ristorante, impacciato e imbarazzato nel tentativo di conquistare Marina Massironi con il disordinato aneddoto di quel leone che tutte le mattine, in Africa, sa che dovrà correre più della gazzella o morirà di fame.
Giuliano Giacomelli
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un film adatto a salvini, di maio and co.